Melanoma: tipologia, diagnosi e prevenzione

14 Novembre 2025

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Il tumore della pelle più temuto, come riconoscerlo in tempo, quando preoccuparsi e quali controlli fare per proteggere la tua pelle

Cos’è il melanoma?

Definizione di melanoma: Il melanoma è un tumore maligno della pelle che origina dai melanociti, le cellule produttrici di melanina responsabili della pigmentazione cutanea.

Con un’incidenza in crescita a livello globale, il melanoma cutaneo rappresenta la forma più aggressiva di cancro della pelle, richiedendo diagnosi precoce e trattamento tempestivo per garantire elevate percentuali di guarigione.

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Dott. Andrea G. Di Stefano

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Secondo il rapporto AIOM-AIRTUM ‘I numeri del cancro in Italia 2024’, nel 2023 sono stati diagnosticati circa 12.900 nuovi casi di melanoma, con stime che prevedono oltre 17.000 casi per il 2024-2025. L’incremento annuo è stimato intorno al 5%, con un aumento drammatico negli ultimi 20 anni: dai 6.000 casi del 2004 ai possibili 17.000 del 2024.

Il melanoma rappresenta il 4% di tutti i tumori cutanei ma è responsabile dell’80% dei decessi per cancro della pelle. L’incidenza è di circa 20 casi per 100.000 abitanti all’anno, con una sopravvivenza a 5 anni che supera il 90% quando diagnosticato precocemente.

Segnali di allerta che richiedono attenzione medica urgente:

  • Neo che cambia forma, colore o dimensione nel giro di settimane o mesi
  • Lesione cutanea che sanguina spontaneamente o dopo traumi minimi
  • Prurito persistente in una macchia cutanea pigmentata
  • Comparsa di nuova lesione pigmentata dopo i 40 anni
  • Neo con bordi irregolari o asimmetrico
  • Macchia cutanea con più colori (nero, marrone, rosso, bianco, blu)

Definizione e fisiopatologia del melanoma

Il melanoma cutaneo maligno origina dalla trasformazione neoplastica dei melanociti, cellule dendritiche localizzate nello strato basale dell’epidermide. Queste cellule specializzate sintetizzano melanina attraverso il processo di melanogenesi, fornendo protezione naturale contro i danni indotti dalle radiazioni ultraviolette.

La patologia può svilupparsi de novo, ovvero su cute precedentemente sana, oppure derivare dalla trasformazione maligna di un nevo melanocitico preesistente. Le statistiche indicano che circa il 25-30% dei melanomi insorge da nevi preesistenti, mentre il restante 70-75% si sviluppa su cute apparentemente normale.

Fattori di rischio per lo sviluppo del melanoma:

  • Predisposizione genetica: mutazioni germinali dei geni CDKN2A e CDK4, responsabili del 25-40% dei melanomi familiari, con rischio lifetime del 60-90%
  • Numerosi nevi displastici: presenza della sindrome del nevo atipico, che aumenta significativamente il rischio di trasformazione maligna
  • Storia pregressa di ustioni solari severe: episodi ripetuti durante l’infanzia e l’adolescenza, fase critica per l’accumulo di danni al DNA
  • Fototipo cutaneo chiaro (Fitzpatrick I-II): pelle che si scotta facilmente e si abbronza con difficoltà
  • Caratteristiche fenotipiche: capelli rossi o biondi e occhi chiari, associati a minore protezione naturale dalla melanina
  • Esposizione cumulativa a raggi ultravioletti: sia di origine naturale (sole) che artificiale (lettini abbronzanti), con effetto dannoso progressivo nel tempo
  • Immunosoppressione: sia farmacologica (terapie dopo trapianto o per malattie autoimmuni) che patologica (HIV, leucemie, linfomi)
  • Età avanzata: l’incidenza aumenta progressivamente con l’età, con picco dopo i 50 anni
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Localizzazioni atipiche: studi epidemiologici hanno evidenziato che il melanoma può manifestarsi anche su cute non esposta regolarmente al sole, come la pianta del piede, le unghie, le mucose orali e genitali, o la regione periungueale, confermando la complessità eziopatogenetica della neoplasia.

La fisiopatologia del melanoma si caratterizza per una sequenza progressiva di mutazioni molecolari che stimolano la proliferazione cellulare incontrollata, conferiscono resistenza ai meccanismi di morte cellulare programmata (apoptosi), favoriscono l’angiogenesi tumorale e conferiscono alle cellule neoplastiche la capacità di invadere i tessuti circostanti e metastatizzare a distanza attraverso circolo ematico e linfatico.

La mutazione BRAF V600E, riscontrata in circa il 40-50% dei melanomi cutanei, rappresenta una delle alterazioni genetiche più frequenti e ha guidato negli ultimi anni lo sviluppo di terapie a bersaglio molecolare specifiche. Altre mutazioni ricorrenti riguardano i geni NRAS (15-20% dei casi), KIT (particolarmente nei melanomi mucosi e acrali) e NF1.

Il tempo medio di evoluzione da neo atipico a melanoma invasivo varia considerevolmente, oscillando da pochi mesi nelle forme aggressive come il melanoma nodulare fino a diversi anni nelle varianti a crescita lenta come la lentigo maligna.

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Classificazione e tipologie del melanoma

La classificazione del melanoma si basa su caratteristiche istologiche, cliniche e molecolari, permettendo di prevedere il comportamento biologico del tumore e di pianificare la strategia terapeutica personalizzata per ciascun paziente.

Secondo la classificazione istogenetica, si distinguono quattro tipi principali di melanoma cutaneo, ciascuno con peculiarità cliniche e prognostiche specifiche.

  1. Il melanoma a diffusione superficiale (Superficial Spreading Melanoma, SSM):
    Rappresenta la forma più comune nei paesi occidentali, costituendo circa il 60-70% di tutti i melanomi cutanei. Si presenta solitamente come una macchia piatta o minimamente rilevata, caratterizzata da margini irregolari, asimmetria e colorazione variegata che include tonalità di marrone, nero, rosso, blu e bianco.
    Questa variante mostra inizialmente una fase di crescita radiale, con estensione orizzontale lungo l’epidermide, seguita da una fase di crescita verticale con invasione del derma. La localizzazione preferenziale è rappresentata dal tronco negli uomini e dagli arti inferiori nelle donne. La prognosi del melanoma a diffusione superficiale dipende principalmente dallo spessore di Breslow al momento della diagnosi, con tassi di sopravvivenza a 10 anni superiori al 90% per lesioni con spessore inferiore a 1 mm.

  2. Il melanoma nodulare:
    Costituisce il 15-20% dei casi e rappresenta la variante più aggressiva. Si manifesta come un nodulo scuro, rapidamente crescente, spesso ulcerato o sanguinante, che può presentarsi anche con aspetto amelanotico (privo di pigmentazione) in circa il 5% dei casi. A differenza del melanoma a diffusione superficiale, questa forma è caratterizzata da crescita verticale fin dall’inizio, con rapida invasione del derma e conseguente prognosi più sfavorevole.
    Il melanoma nodulare si localizza preferenzialmente su tronco, testa e collo, manifestandosi più frequentemente in soggetti di età superiore ai 50 anni. La diagnosi precoce risulta particolarmente difficoltosa per la rapida evoluzione, con un tempo di sviluppo che può essere inferiore a 6 mesi.

  3. Il melanoma lentigginoso acrale:
    Rappresenta la variante tipica di palmo delle mani, pianta dei piedi e regione subungueale, costituendo il 5-10% dei melanomi nei caucasici ma fino al 50-70% nelle popolazioni con fototipo scuro (africani, asiatici, ispanici). Il melanoma acrale subungueale si presenta come una banda pigmentata longitudinale dell’unghia (melanonichia longitudinale), spesso accompagnata dal segno di Hutchinson (estensione della pigmentazione alla cute periungueale).
    La diagnosi tardiva, dovuta alla localizzazione nascosta e alla somiglianza con lesioni benigne come ematomi o verruche plantari, determina una prognosi generalmente meno favorevole rispetto alle altre forme, con sopravvivenza a 5 anni del 50-70%.

  4. Il melanoma desmoplastico:
    È una variante rara (meno del 4% dei casi), caratterizzata da abbondante componente stromale fibrosa, spesso amelanotica, che si localizza preferenzialmente a livello della testa e del collo in soggetti anziani con storia di esposizione solare cronica. Questa forma presenta peculiarità biologiche distintive, tra cui una maggiore tendenza alla recidiva locale ma minore propensione alla diffusione linfonodale.

Oltre alle forme invasive, merita particolare menzione il melanoma in situ, confinato agli strati superficiali dell’epidermide senza evidenza di invasione del derma. Questa lesione rappresenta lo stadio più precoce della progressione neoplastica e, se trattata adeguatamente con escissione chirurgica completa, presenta una prognosi eccellente con guarigione definitiva in oltre il 99% dei casi. Il melanoma in situ può presentarsi con pattern di crescita a diffusione superficiale o come lentigo maligna, variante che insorge su cute cronicamente foto danneggiata del volto e del collo in soggetti anziani.

Abbiamo poi il melanoma mucoso, il quale rappresenta circa l’1-2% di tutti i melanomi, insorge a livello delle mucose orali, nasali, genitali o anali, manifestandosi spesso in stadi avanzati per la difficoltà diagnostica e la sintomatologia aspecifica. La prognosi del melanoma mucoso è generalmente sfavorevole, con sopravvivenza a 5 anni del 20-35%.

Come riconoscere il melanoma: sintomi e segnali

Riconoscere precocemente un melanoma significa spesso salvare una vita, dato che la sopravvivenza a lungo termine è strettamente correlata allo stadio al momento della diagnosi.

Il sintomo cardine è rappresentato dalla comparsa di una lesione cutanea nuova o dalla modificazione di un nevo preesistente in termini di forma, colore, dimensione o sintomatologia associata. Per facilitare il riconoscimento dei segnali sospetti, la comunità dermatologica internazionale, di cui fa parte anche la International Society of Dermatology, ha sviluppato la regola ABCDE, uno strumento mnemonico validato che guida l’autovalutazione e l’esame clinico.

La regola ABCDE del melanoma:

A – Asimmetria: un nevo benigno è generalmente simmetrico, mentre il melanoma presenta asimmetria lungo uno o entrambi gli assi. Dividendo idealmente la lesione a metà, le due porzioni non sono speculari.

B – Bordi irregolari: i margini di un melanoma appaiono frastagliati, dentellati o sfumati, a differenza dei nevi benigni che mostrano bordi netti e regolari.

C – Colore disomogeneo: la presenza di multiple tonalità cromatiche (marrone chiaro e scuro, nero, rosso, bianco, blu) all’interno della stessa lesione costituisce un importante segnale di allarme. I nevi benigni presentano colorazione uniforme.

D – Diametro superiore ai 6 mm: sebbene esistano melanomi di dimensioni inferiori (melanoma minimo), lesioni con diametro maggiore di 6 mm (la dimensione di una gomma da matita) richiedono particolare attenzione.

E – Evoluzione: qualsiasi modificazione di un nevo preesistente in termini di dimensione, forma, colore, spessore, sintomatologia o aspetto di superficie rappresenta il segnale più importante e deve indurre al consulto dermatologico immediato.

Oltre alla regola ABCDE, esistono sintomi specifici che possono caratterizzare il melanoma e che richiedono valutazione specialistica urgente:

  • Prurito persistente: localizzato a livello di una lesione pigmentata, sebbene non specifico, può rappresentare un segnale precoce di trasformazione neoplastica
  • Ulcerazione spontanea: formazione di croste che non guariscono, manifestazione tipica del melanoma nodulare
  • Sanguinamento anomalo: dopo traumi minimi o in assenza di trauma, indicatore di crescita aggressiva
  • Dolore localizzato: sensazione dolorosa a livello della lesione cutanea
  • Aree prive di pigmento: comparsa di ipocromia o acromia all’interno di un nevo, secondaria a fenomeni di regressione immunitaria
  • Sensazione di tensione o indurimento: cambiamento nella consistenza della lesione

Topografia anatomica

Le manifestazioni cliniche variano poi significativamente a seconda della topografia anatomica.

Il melanoma del piede e della gamba può presentarsi come una macchia scura irregolare sulla pianta, simulando un ematoma persistente, oppure come una banda scura sotto l’unghia dell’alluce (melanoma subungueale).

Nelle braccia e nella schiena si manifesta tipicamente come melanoma a diffusione superficiale, mentre il melanoma della regione ascellare può essere identificato per la prima volta attraverso la palpazione di linfonodi ingrossati, rappresentando già uno stadio avanzato con coinvolgimento linfonodale.

Il melanoma mucoso delle zone genitali, anali o orali si presenta spesso con sintomi aspecifici come sanguinamento, prurito o dolore, determinando frequentemente diagnosi in fase avanzata.

È fondamentale ricordare che non tutti i melanomi presentano pigmentazione: le forme amelanotiche, rappresentando circa il 2-8% dei casi, possono imitare cheratosi attiniche, carcinomi basocellulari, lesioni vascolari o granulomi, diventando una sfida diagnostica anche per dermatologi esperti. Queste varianti appaiono come noduli o placche di colore rosa, rosso o del colore della cute sana, rendendo indispensabile la dermatoscopia e, nei casi dubbi, la biopsia.

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Diagnosi del melanoma: esami e procedure

La diagnosi del melanoma si avvale oggi di una combinazione sinergica tra osservazione clinica, strumenti diagnostici non invasivi e accertamenti istologici definitivi.

Il prelievo bioptico rappresenta lo standard diagnostico indispensabile: solo l’analisi istopatologica è in grado di confermare la natura maligna della lesione, stabilire lo spessore secondo Breslow, determinare il livello di invasione secondo Clark, valutare la presenza di ulcerazione, quantificare l’indice mitotico e identificare altre caratteristiche prognostiche come la presenza di regressione istologica o infiltrato linfocitario peritumorale.

La biopsia escissionale con margini di 1-3 mm rappresenta la tecnica gold standard, permettendo l’asportazione completa della lesione con minimo tessuto sano circostante per l’analisi istologica completa.

L’esame dermatoscopico (o epiluminescenza) costituisce uno strumento diagnostico non invasivo fondamentale, aumentando la sensibilità diagnostica del 10-27% rispetto all’esame clinico a occhio nudo. Attraverso un dermatoscopio, che permette l’ingrandimento (10-100x) e l’illuminazione della lesione, il dermatologo può visualizzare strutture pigmentarie non visibili a occhio nudo, applicando algoritmi diagnostici validati (pattern analysis, regola ABCD dermatoscopica, metodo delle 7 punti, algoritmo di Menzies).

L’analisi immunoistochimica rappresenta un complemento essenziale all’esame istologico standard, permettendo di confermare l’origine melanocitaria delle cellule neoplastiche attraverso la ricerca di marker specifici.

I principali marker immunoistochimici utilizzati includono la proteina S100 (sensibilità 97-100%, marker più sensibile ma meno specifico), HMB-45 (Human Melanoma Black 45, sensibile nelle porzioni superficiali del tumore), Melan-A/MART-1 (Melanoma Antigen Recognized by T-cells, altamente sensibile e specifico), SOX10 (sensibile anche nei melanomi desmoplastici) e MCSP (Melanoma-associated Chondroitin Sulfate Proteoglycan).

La valutazione dell’indice di proliferazione cellulare attraverso Ki-67 fornisce informazioni prognostiche aggiuntive.

Gli esami del sangue per il melanoma includono la ricerca di marker tumorali, sebbene la loro utilità sia limitata nella diagnosi precoce e maggiormente rilevante nel monitoraggio della malattia avanzata.

La proteina S100B sierica presenta sensibilità e specificità limitate negli stadi precoci ma può essere utile nel follow-up dei melanomi in stadio III-IV.
La lattato deidrogenasi (LDH) risulta elevata in presenza di metastasi viscerali estese e rappresenta un fattore prognostico negativo incluso nella stadiazione AJCC.

Recentemente, la ricerca del DNA tumorale circolante (ctDNA) e l’analisi delle mutazioni specifiche (BRAF, NRAS) nel sangue stanno emergendo come strumenti promettenti per il monitoraggio della risposta terapeutica e la diagnosi precoce di recidiva.

Le indagini radiologiche rivestono importanza cruciale nella stadiazione del melanoma e nella ricerca di metastasi. L’ecografia dei linfonodi regionali rappresenta un esame non invasivo, ripetibile e sensibile per identificare metastasi linfonodali, particolarmente utile nel follow-up dei pazienti con linfonodo sentinella negativo.

La tomografia computerizzata (TC) total body con mezzo di contrasto permette di valutare la presenza di metastasi polmonari, epatiche, surrenaliche e in altri organi addominali. La risonanza magnetica nucleare (RMN) cerebrale con gadolinio costituisce l’esame di elezione per identificare metastasi cerebrali, frequenti nel melanoma metastatico avanzato.
La tomografia a emissione di positroni (PET) con 18F-fluorodesossiglucosio (18F-FDG PET-TC) rappresenta l’indagine metabolica più sensibile per identificare metastasi occulte, valutare l’estensione della malattia negli stadi III-IV e monitorare la risposta alle terapie sistemiche.

La biopsia del linfonodo sentinella (SLNB, Sentinel Lymph Node Biopsy) riveste particolare importanza nella stadiazione dei melanomi con spessore di Breslow superiore a 0,8-1 mm.
La procedura prevede l’identificazione intraoperatoria del primo linfonodo di drenaggio del sito del melanoma primario attraverso l’iniezione di tracciante radioattivo (Tecnezio-99m) e colorante vitale (blu di metilene), seguita dall’asportazione e analisi istologica. La presenza di micrometastasi nel linfonodo sentinella identifica pazienti a rischio intermedio-alto che possono beneficiare di trattamenti adiuvanti e di follow-up intensificato.

Stadiazione del melanoma: classificazione TNM-AJCC

La stadiazione del melanoma si basa sulla classificazione internazionale TNM-AJCC (American Joint Committee on Cancer) che integra parametri istopatologici del tumore primitivo (T), il coinvolgimento linfonodale regionale (N) e la presenza di metastasi a distanza (M).
Questa classificazione permette di stratificare i pazienti in gruppi prognostici omogenei, guidando le decisioni terapeutiche e definendo la frequenza dei controlli nel follow-up.

Il parametro T (Tumore primitivo) si basa principalmente sullo spessore di Breslow, misurato in millimetri dalla superficie del granuloso epidermico fino al punto di massima invasione tumorale nel derma o nel tessuto sottocutaneo, e sulla presenza di ulcerazione istologica. Lo spessore di Breslow rappresenta il più importante fattore prognostico indipendente, con correlazione diretta tra maggiore spessore e prognosi peggiore:

  • T1: melanoma con spessore ≤1 mm (T1a se <0,8 mm senza ulcerazione; T1b se 0,8-1 mm senza ulcerazione o <0,8 mm con ulcerazione)
  • T2: spessore 1,1-2 mm (T2a senza ulcerazione; T2b con ulcerazione)
  • T3: spessore 2,1-4 mm (T3a senza ulcerazione; T3b con ulcerazione)
  • T4: spessore >4 mm (T4a senza ulcerazione; T4b con ulcerazione)

Il livello di invasione secondo Clark, che valuta la profondità anatomica dell’invasione, ha perso importanza prognostica nella classificazione AJCC più recente, mantenendo rilevanza solo in casi particolari.

I cinque livelli di Clark sono:

  • Livello I: melanoma in situ (confinato all’epidermide)
  • Livello II: invasione del derma papillare
  • Livello III: riempimento completo del derma papillare senza superamento
  • Livello IV: invasione del derma reticolare
  • Livello V: invasione del tessuto sottocutaneo

Il parametro N (Linfonodi regionali) valuta il numero di linfonodi metastatici e le dimensioni delle metastasi (micrometastasi vs macrometastasi):

  • N0: assenza di metastasi linfonodali
  • N1: una metastasi linfonodale regionale o metastasi in-transit/satelliti/micrometastasi senza linfonodi coinvolti
  • N2: 2-3 metastasi linfonodali regionali o metastasi in-transit/satelliti/micrometastasi con un linfonodo coinvolto
  • N3: 4 o più metastasi linfonodali regionali, metastasi linfonodali aggregate o metastasi in-transit/satelliti/micrometastasi con due o più linfonodi coinvolti

Le metastasi in transito rappresentano depositi tumorali localizzati nel derma o nel sottocutaneo a più di 2 cm dal tumore primitivo ma prima della stazione linfonodale regionale, indicando disseminazione linfatica regionale con prognosi intermedia tra stadio II e stadio III linfonodale.

Il parametro M (Metastasi a distanza) distingue:

  • M0: assenza di metastasi a distanza
  • M1: presenza di metastasi a distanza, suddivise in base alla sede:
    • M1a: metastasi cutanee distanti, sottocutanee o linfonodali non regionali
    • M1b: metastasi polmonari
    • M1c: metastasi viscerali non del sistema nervoso centrale
    • M1d: metastasi del sistema nervoso centrale

Gli organi più frequentemente colpiti da metastasi del melanoma includono polmoni (18-36% dei casi metastatici), fegato (14-20%), encefalo (12-20%), ossa (11-17%), intestino (1-7%) e cute/sottocute distante (42-59%). La sopravvivenza mediana dopo diagnosi di metastasi variava storicamente da 6 a 9 mesi prima dell’avvento delle terapie innovative, ma è significativamente migliorata con immunoterapia e terapie a target molecolare.

La combinazione dei parametri TNM definisce gli stadi clinici:

  • Stadio 0: melanoma in situ (Tis, N0, M0) – sopravvivenza a 10 anni >99%
  • Stadio I: melanoma localizzato sottile (T1-T2a, N0, M0) – sopravvivenza a 10 anni >90%
  • Stadio II: melanoma localizzato intermedio-spesso (T2b-T4b, N0, M0) – sopravvivenza a 10 anni 50-80%
  • Stadio III: coinvolgimento linfonodale regionale o metastasi in-transit (qualsiasi T, N1-N3, M0) – sopravvivenza a 10 anni 30-70%
  • Stadio IV: metastasi a distanza (qualsiasi T, qualsiasi N, M1) – sopravvivenza a 5 anni 10-25% (dati pre-immunoterapia), 40-52% con terapie innovative

Trattamento del melanoma: dalla chirurgia alle terapie innovative

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Nel trattamento del melanoma cutaneo il punto di partenza è sempre rappresentato dall’asportazione chirurgica del tumore primitivo, condotta con margini di sicurezza adeguati sulla base dello spessore tumorale secondo Breslow.

Le linee guida internazionali raccomandano margini di escissione variabili: 0,5 cm per il melanoma in situ, 1 cm per melanomi con spessore fino a 2 mm e 2 cm per melanomi con spessore superiore a 2 mm. L’escissione chirurgica radicale negli stadi precoci (0-IIA) garantisce tassi di guarigione eccellenti, superiori al 90%, rendendo il melanoma una delle neoplasie solide con migliore prognosi quando diagnosticato tempestivamente.

Nei casi in cui il tumore abbia già raggiunto uno stadio più avanzato, il percorso terapeutico prevede l’utilizzo combinato di chirurgia, terapie adiuvanti sistemiche e, in casi selezionati, radioterapia.

La biopsia del linfonodo sentinella, seguita eventualmente da linfoadenectomia completa in caso di positività, rappresentava lo standard fino a pochi anni fa, mentre oggi l’osservazione ecografica seriale sta sostituendo la dissezione linfonodale completa per i pazienti con micrometastasi isolate, dato che trial clinici randomizzati (MSLT-II, DeCOG-SLT) hanno dimostrato l’assenza di benefici in termini di sopravvivenza globale.

L’avvento dell’immunoterapia ha rivoluzionato radicalmente la gestione del melanoma metastatico, trasformando una patologia con prognosi infausta in una condizione potenzialmente controllabile a lungo termine. Gli inibitori dei checkpoint immunitari, che riattivano la risposta immunitaria antitumorale rimuovendo i freni molecolari che il melanoma utilizza per sfuggire alla sorveglianza immunitaria, rappresentano oggi il cardine della terapia sistemica:

  • Anti-PD-1 (pembrolizumab, nivolumab): bloccano l’interazione tra il recettore PD-1 sui linfociti T e il suo ligando PD-L1 espresso dalle cellule tumorali. In monoterapia determinano risposte obiettive nel 40-45% dei pazienti con melanoma metastatico, con sopravvivenza mediana superiore a 3 anni e sopravvivenza a 5 anni del 40-50%.
  • Anti-CTLA-4 (ipilimumab): blocca il checkpoint CTLA-4, determinando risposte nel 15-20% dei casi ma con durata delle risposte particolarmente prolungata (plateau nella curva di sopravvivenza a 3 anni).
  • Combinazione anti-PD-1 + anti-CTLA-4 (nivolumab + ipilimumab): rappresenta lo schema più efficace ma anche più tossico, con tassi di risposta del 57-58% e sopravvivenza a 5 anni del 52% nei pazienti con melanoma metastatico non pretrattato. La combinazione viene riservata a pazienti selezionati con malattia ad alto carico tumorale.

L’immunoterapia adiuvante negli stadi III (dopo resezione completa) e in alcuni stadi IIB-IIC ad alto rischio ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di recidiva. Pembrolizumab e nivolumab in terapia adiuvante per 12 mesi riducono il rischio di recidiva del 40-45% rispetto all’osservazione, con beneficio assoluto in termini di sopravvivenza libera da malattia del 10-15% a 3-4 anni.

Le terapie a target molecolare rappresentano l’opzione di scelta per pazienti portatori di specifiche mutazioni driver. Gli inibitori di BRAF (vemurafenib, dabrafenib, encorafenib) in combinazione con inibitori di MEK (trametinib, cobimetinib, binimetinib) hanno trasformato la prognosi dei melanomi BRAF-mutati (40-50% dei casi):

  • La combinazione dabrafenib + trametinib determina tassi di risposta del 64-69%, con sopravvivenza mediana di 25-26 mesi e sopravvivenza a 5 anni del 34% nel melanoma metastatico.
  • La combinazione encorafenib + binimetinib ha mostrato efficacia superiore, con sopravvivenza mediana di 33,6 mesi.
  • In terapia adiuvante (stadio III dopo resezione), dabrafenib + trametinib per 12 mesi riduce il rischio di recidiva del 53% rispetto al placebo.

Le terapie target presentano il vantaggio di una rapida insorgenza della risposta (settimane vs mesi per l’immunoterapia), rendendole preferibili in pazienti con malattia sintomatica aggressiva, ma sono gravate da resistenza acquisita che si sviluppa generalmente entro 12-18 mesi.

Per i melanomi con altre mutazioni driver, esistono terapie specifiche: inibitori di KIT (imatinib, nilotinib) per melanomi mucosi e acrali KIT-mutati, e inibitori di MEK (trametinib, binimetinib) in monoterapia per melanomi NRAS-mutati, sebbene con efficacia più limitata.

La chemioterapia ha perso il ruolo centrale che rivestiva fino a pochi anni fa, mantenendo indicazione residuale in pazienti che hanno fallito immunoterapia e terapie target o in situazioni particolari. Gli schemi chemioterapici più utilizzati includono dacarbazina (DTIC), temozolomide (Temodal), carboplatino e paclitaxel, con tassi di risposta del 10-20% e durata limitata.

La radioterapia trova indicazione nel trattamento delle metastasi cerebrali (radiochirurgia stereotassica per lesioni singole o in numero limitato, radioterapia panencefalica per metastasi multiple), nel controllo locale di metastasi ossee sintomatiche, nel trattamento adiuvante dopo linfoadenectomia in presenza di fattori di rischio (rottura capsulare, metastasi extranodali) e come terapia palliativa in sedi sintomatiche.

Per le metastasi in transito, lesioni limitate e metastasi cutanee-sottocutanee recidivanti, terapie loco-regionali innovative includono l’elettrochemioterapia (somministrazione di chemioterapici seguita da impulsi elettrici che aumentano la permeabilità cellulare), l’iniezione intralesionale di talimogene laherparepvec (T-VEC) (virus herpes simplex oncolitico modificato che induce lisi tumorale e risposta immunitaria) e la perfusione isolata dell’arto con melphalan ipertermico, riservata a casi selezionati.

La scelta del trattamento viene sempre personalizzata in un’ottica multidisciplinare, considerando età del paziente, condizioni generali (performance status), comorbilità, tipo e localizzazione delle metastasi, presenza di mutazioni actionable (BRAF, KIT), carico tumorale, cinetica di crescita, sintomatologia, preferenze del paziente e precedenti terapie. La tendenza attuale è verso combinazioni razionali di differenti approcci (immunoterapia + terapie target, immunoterapia + terapie loco-regionali, approcci neoadiuvanti prima della chirurgia) per massimizzare l’efficacia e superare i meccanismi di resistenza.

Prevenzione del melanoma: strategie evidence-based

La prevenzione rappresenta la vera chiave di volta per ridurre incidenza e mortalità da melanoma cutaneo, agendo sui fattori di rischio modificabili e implementando strategie di diagnosi precoce. Le evidenze scientifiche hanno identificato dieci regole fondamentali per la prevenzione del melanoma, supportate da trial clinici e studi osservazionali prospettici.

1. Evitare l’esposizione solare nelle ore di massima intensità: i raggi ultravioletti raggiungono il picco di intensità tra le 11:00 e le 16:00. L’esposizione solare cumulativa durante l’infanzia e le ustioni solari intermittenti rappresentano fattori di rischio maggiori rispetto all’esposizione cronica occupazionale. Studi caso-controllo hanno dimostrato che ogni episodio di ustione solare grave durante l’infanzia raddoppia il rischio di melanoma nell’età adulta.

2. Utilizzare creme solari ad alto fattore di protezione (SPF ≥50): l’applicazione corretta di filtri solari ad ampio spettro (protezione UVA e UVB) riduce l’incidenza di melanoma del 50% secondo uno studio australiano randomizzato controllato condotto per 15 anni. La quantità adeguata corrisponde a 2 mg/cm² (circa 35 ml per un adulto di statura media), applicata 15-30 minuti prima dell’esposizione e rinnovata ogni 2 ore e dopo bagni o sudorazione intensa.

3. Indossare indumenti protettivi: cappelli a falda larga (almeno 7-8 cm), occhiali da sole con protezione UV400, magliette a maniche lunghe e pantaloni costituiscono barriere fisiche efficaci. I tessuti a trama fitta con certificazione UPF (Ultraviolet Protection Factor) 50+ garantiscono protezione ottimale.

4. Evitare assolutamente l’utilizzo di lampade abbronzanti e lettini solari: l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) classifica i dispositivi abbronzanti come cancerogeni di gruppo 1. L’utilizzo prima dei 35 anni aumenta il rischio di melanoma del 59%, con incremento proporzionale al numero di sedute. Molti paesi hanno vietato l’accesso ai minori di 18 anni.

5. Proteggere i bambini con particolare attenzione: la pelle infantile è più vulnerabile ai danni UV. I neonati sotto i 6 mesi non dovrebbero essere esposti direttamente al sole. L’educazione alla fotoprotezione nell’infanzia e adolescenza rappresenta un investimento preventivo fondamentale, dato che l’80% dell’esposizione UV cumulativa avviene prima dei 18 anni.

6. Praticare l’autoesame cutaneo mensile: l’autoispezione regolare di tutta la superficie corporea, incluse zone poco accessibili (cuoio capelluto, genitali, spazi interdigitali, piante dei piedi), con l’ausilio di specchi, permette di identificare precocemente lesioni sospette o modificazioni di nevi preesistenti. Partner o familiari possono assistere nell’esame delle aree non visibili.

7. Sottoporsi a controlli dermatologici periodici: la frequenza dei controlli specialistici va personalizzata in base ai fattori di rischio individuali. Soggetti con numerosi nevi (>50), nevi atipici, storia familiare di melanoma, fototipo chiaro o precedente diagnosi di melanoma richiedono controlli ogni 6-12 mesi. La mappatura digitale dei nevi (videodermatoscopia) permette il monitoraggio nel tempo di lesioni dubbie.

8. Conoscere la propria storia familiare: circa il 10% dei melanomi presenta aggregazione familiare, con rischio relativo 2-3 volte superiore in presenza di un familiare di primo grado affetto. Mutazioni germinali di CDKN2A conferiscono un rischio lifetime di melanoma del 60-90%. I soggetti con familiarità dovrebbero considerare counseling genetico e sorveglianza intensificata.

9. Mantenere uno stile di vita sano: sebbene l’associazione sia meno diretta rispetto ad altri tumori, evidenze emergenti suggeriscono che dieta ricca di antiossidanti (vitamina E, carotenoidi, polifenoli), attività fisica regolare e mantenimento di peso corporeo adeguato possano ridurre indirettamente il rischio. L’immunosoppressione aumenta il rischio di melanoma di 2-3 volte, rendendo importante il controllo di condizioni che compromettono l’immunità.

10. Non sottovalutare mai una lesione sospetta: la diagnosi precoce rappresenta il fattore prognostico più importante. Di fronte a qualsiasi dubbio (regola ABCDE positiva, modificazione recente, sintomi associati), è imperativo consultare tempestivamente un dermatologo. L’atteggiamento attendista può compromettere la prognosi.

Le campagne di prevenzione secondaria attraverso screening dermatologici di popolazione hanno dimostrato efficacia nel ridurre lo spessore medio dei melanomi diagnosticati.

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Domande frequenti sul melanoma

  • Il melanoma è sempre nero?
    No, il melanoma può presentare diverse colorazioni. Sebbene la maggior parte dei melanomi mostri pigmentazione scura (marrone, nero, blu), esistono forme amelanotiche (2-8% dei casi) di colore rosa, rosso o simile alla cute normale. Queste varianti sono particolarmente insidiose perché possono essere scambiate per lesioni benigne, ritardando la diagnosi.

  • Quanto tempo impiega un melanoma a svilupparsi?
    Il tempo di sviluppo varia significativamente tra i diversi tipi. Il melanoma nodulare può svilupparsi in pochi mesi (3-6 mesi), mentre il melanoma a diffusione superficiale richiede generalmente 1-2 anni. La lentigo maligna può impiegare anni o decenni prima di evolvere in forma invasiva. La velocità di crescita rappresenta un importante segnale di allarme nella regola ABCDE (E per Evoluzione).

  • Il melanoma è ereditario?
    Circa il 10% dei melanomi presenta aggregazione familiare. La presenza di un familiare di primo grado affetto aumenta il rischio di 2-3 volte. Mutazioni germinali nei geni CDKN2A (responsabile del 20-40% dei melanomi familiari) e CDK4 conferiscono un rischio lifetime molto elevato (60-90%). I soggetti con forte familiarità dovrebbero considerare il test genetico e programmi di sorveglianza intensificata.

  • Quanto è grave un melanoma di 0,4 mm di spessore?
    Un melanoma con spessore di Breslow di 0,4 mm viene classificato come T1a (stadio IA) e presenta una prognosi eccellente. La sopravvivenza a 10 anni supera il 97-99%. A questo spessore, il rischio di metastasi linfonodali è inferiore al 5% e generalmente non è indicata la biopsia del linfonodo sentinella. L’escissione chirurgica con margini di 1 cm è sufficiente nella maggior parte dei casi per garantire la guarigione definitiva.

  • Cosa significa melanoma PT1A?
    PT1A nella classificazione patologica TNM indica un melanoma con spessore di Breslow inferiore a 0,8 mm senza ulcerazione istologica. Rappresenta la categoria prognostica più favorevole tra i melanomi invasivi (stadio IA), con sopravvivenza a 5 anni superiore al 97% e a 10 anni del 95-97%. Generalmente non richiede terapie adiuvanti oltre all’escissione chirurgica.

  • Cosa significa avere il linfonodo sentinella positivo?
    Un linfonodo sentinella positivo indica la presenza di micrometastasi (depositi tumorali generalmente <2 mm) o macrometastasi nel primo linfonodo di drenaggio del melanoma primario. Questo reperto classifica il paziente nello stadio III, modificando significativamente la prognosi e rendendo indicata la terapia adiuvante sistemica con immunoterapia (pembrolizumab o nivolumab per 12 mesi) o terapie target (dabrafenib + trametinib se BRAF-mutato) per ridurre il rischio di recidiva del 40-50%.

  • Gli esami del sangue possono diagnosticare il melanoma?
    No, non esistono esami del sangue specifici per diagnosticare il melanoma nelle fasi precoci. La diagnosi si basa sull’esame istologico della biopsia. Gli esami ematici (S100B, LDH, ctDNA) hanno utilità limitata al monitoraggio dei pazienti con malattia metastatica o nel follow-up post-trattamento per identificare precocemente recidive. Valori elevati di LDH nel melanoma metastatico indicano malattia avanzata e prognosi peggiore.

  • Il melanoma può guarire completamente?
    Sì, il melanoma diagnosticato negli stadi precoci (0-IIA) può guarire completamente con la sola asportazione chirurgica nel 90-99% dei casi. Anche negli stadi più avanzati, le nuove terapie (immunoterapia, terapie target) hanno permesso di ottenere remissioni complete durature nel 20-30% dei pazienti con malattia metastatica, un risultato impensabile fino a pochi anni fa. Il follow-up a lungo termine rimane comunque indispensabile per identificare precocemente eventuali recidive.

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