Il volto della fine: comprendere la facies ippocratica
5 Maggio 2025

Questo articolo nasce da un’ondata di richieste ricevute dopo la pubblicazione di diversi contenuti sulla facies ippocratica. In molti ci hanno scritto, mossi da un dubbio carico di preoccupazione: come capire se i propri cari – spesso genitori anziani o nonni – presentano questo volto di cui parlava Ippocrate? Quali sono le cause? E, soprattutto, è possibile intervenire?
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Dott. Pietro Gareri
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Oggi la medicina dispone di strumenti incredibilmente avanzati. Tomografie computerizzate, risonanze magnetiche, PET, test del sangue e analisi genetiche. Tuttavia, di fronte a un singolo paziente, anche con tutte queste risorse, prevedere quando sopraggiungerà la morte resta un’impresa difficile.
Ciò che invece è certo è che, con l’avvicinarsi della fine, il corpo comincia a parlare in modo sottile ma inequivocabile. Si presentano disturbi fisici come ipopnea, apnea, polso irregolare, cianosi, estremità fredde, delirium. I familiari, colti da timore e incertezza, spesso contattano i medici per avere una previsione sul tempo che rimane. Ma i classici indicatori prognostici, per quanto validi, si rivelano spesso meno utili di segni clinici più semplici e umani: il delirio, la dispnea, la perdita di peso, l’astenia, la disfagia, la compromissione dello stato funzionale. Sono questi, paradossalmente, a dirci di più sulla vicinanza della morte.
Ed è proprio qui che entra in gioco un segno antico, tramandato da millenni: la facies ippocratica. Secondo lo studioso Ivan Illich, essa indica che il paziente “si era spostato nell’atrio della morte”. Un’immagine potente, che richiama qualcosa di solenne e profondo.
In medicina, il termine facies (dal latino facies, “aspetto”) indica l’espressione o l’aspetto caratteristico del viso di una persona, soprattutto quando riflette una particolare condizione di salute. Infatti, spesso il volto può dire molto più di mille parole: ci sono segnali, colori, linee d’espressione o tensioni muscolari che raccontano quello che sta succedendo nel corpo.
Uno sguardo nel passato: l’osservazione secondo Ippocrate
Ippocrate nacque nel 460 a.C. sull’isola di Kos, e figlio del medico Erculide. È considerato il “Padre della Medicina” e non solo per il giuramento che porta il suo nome. A lui si deve il Corpus Hippocraticum, una raccolta di 72 dissertazioni mediche che ha rappresentato il fondamento della medicina antica fino al Medioevo.
In quel corpus si condensano secoli di conoscenze, trasformate da Ippocrate e dai medici della scuola di Kos in osservazioni cliniche sistematiche. Secondo il traduttore WHS Jones, quei testi “sono impressi dai segni di un genio eccezionale, che ha ereditato molto, ma ha lasciato in eredità molto di più”.
La medicina ippocratica si fondava su tre pilastri: osservazione, esperienza e razionalità. Niente poteva sostituire lo sguardo attento, l’ascolto silenzioso, il tocco gentile. Ogni segno del corpo era un messaggio: la febbre, il ritmo del respiro, la pupilla asimmetrica, il colore della pelle, i sudori, i dolori, la paralisi.
La facies ippocratica: quando il volto cambia
Tra i tanti insegnamenti lasciati da Ippocrate, uno in particolare è diventato un riferimento nel riconoscere la fine imminente: la facies ippocratica. Questo volto, osservato nei pazienti in punto di morte, era per Ippocrate un indicatore prezioso.
“Dovresti osservare così nelle malattie acute: prima il volto del paziente, se è come quello delle persone sane, e soprattutto se è come il suo solito, perché questo è il meglio di tutti. Ma il contrario è il peggio, come questi: naso aguzzo, occhi infossati, tempie infossate; orecchie fredde, contratte e con i lobi rivolti verso l’esterno; pelle della fronte ruvida, tesa e secca; colorito del viso verdastro o livido… sappiate per certo che la fine è vicina.”
Il medico dell’antichità iniziava le sue indagini osservando proprio il volto e gli occhi del malato. Se il naso appariva affilato, gli occhi infossati, le tempie svuotate, le orecchie fredde e contratte, la pelle dura, secca, tesa e il colorito del viso tendente al giallo o al nero, sapeva che la malattia era grave, e spesso, che la morte era imminente.
A questo quadro si aggiungeva l’analisi dello sguardo: se gli occhi erano distorti, se uno era più piccolo dell’altro, se i bulbi oculari si muovevano con irrequietezza o erano molto infossati, tutti questi segni erano considerati gravi, persino fatali. L’osservazione oculare portava con sé il peso della verità clinica, spesso inevitabile.
Le cause dietro alla facies ippocratica
Dietro i tratti della facies ippocratica si nascondono processi fisiologici chiari, anche se drammatici. Gli occhi infossati derivano da una severa disidratazione e dalla perdita di tono tissutale, che spesso si accompagna all’improvvisa perdita di peso e che fa sì che i globi oculari si ritirino nelle orbite. La stessa disidratazione (che oggi si potrebbe accompagnare ad un aumento della creatina) secca le labbra, che, in caso di ipossia, assumono una colorazione bluastra.
Il naso, sottile e appuntito, riflette la perdita di tessuto adiposo e muscolare, tipica di condizioni come la cachessia o lo shock. Le guance scavate indicano la riduzione della massa muscolare e del grasso sottocutaneo. Il colorito grigio o cianotico è il segno di una perfusione sanguigna compromessa, spesso associata a ipossia, cioè scarso apporto di ossigeno. La sudorazione fredda, la pelle bagnata e fredda al tatto, è la risposta del corpo all’attivazione del sistema simpatico, spesso in presenza di ipotensione o stato di shock e scompenso cardiaco.
Tutto questo si accompagna a un’espressione ansiosa, consapevole della gravità della propria condizione. Un volto che non si dimentica facilmente.
Oltre il volto: altri segni di Ippocrate
Ma Ippocrate non si fermò qui. Era ben consapevole che i segni visibili avevano un significato più ampio. Notò, per esempio, che un paziente che giaceva con bocca e occhi aperti, le gambe divaricate, insonnia, movimenti violenti e diarrea continua, stava affrontando una fase estremamente critica della malattia.
Fu anche probabilmente il primo a descrivere l’ippocratismo digitale, un altro segno importante in medicina. “Quando una persona presenta suppurazione interna dopo una polmonite… le unghie di entrambe le mani e dei piedi diventano ricurve.” Il termine greco per questo fenomeno è plettodattilia: un cambiamento nella forma delle dita, che assumono l’aspetto di bacchette di tamburo. Oggi lo conosciamo come un segno legato a malattie polmonari e cardiache (che possono essere prevenute), ma fu Ippocrate a tracciarne la prima descrizione.
A lui dobbiamo anche lo studio attento del respiro, delle malattie respiratorie, dell’ispezione del torace e dell’addome, dell’opistotono, delle convulsioni febbrili nei bambini. Nulla sfuggiva al suo occhio attento.
Un’eredità da non dimenticare
Per Ippocrate, la medicina cominciava da ciò che si vede, si tocca, si ascolta. “È necessario iniziare con le cose più importanti e quelle più facilmente riconoscibili. È necessario studiare tutto ciò che si può vedere, sentire e udire, tutto ciò che si può riconoscere e utilizzare.
Oggi, sebbene immersi in un mondo ipertecnologico, possiamo ancora imparare dal suo insegnamento. Perché ci sono momenti, soprattutto alla fine della vita, in cui il volto di un paziente dice molto più di qualsiasi referto strumentale.
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