Infezione vie urinarie: cause, sintomi, diagnosi e terapie

7 Novembre 2025

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Segnali da non sottovalutare, rischi nascosti e terapie all’avanguardia per prevenire e curare le infezioni urinarie

Le infezioni delle vie urinarie (IVU) rappresentano una delle patologie infettive più frequenti in assoluto, con un’incidenza particolarmente elevata nelle donne, ma senza escludere uomini e bambini.

Recenti linee guida internazionali, come quelle aggiornate dalla European Association of Urology (EAU) e dalla Società Italiana di Urologia (SIU), evidenziano come questo disturbo abbia un impatto significativo sia sulla qualità della vita dei pazienti sia sui costi sanitari globali.

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Che cos’è un’infezione vie urinarie

L’infezione vie urinarie si verifica quando microorganismi patogeni, prevalentemente batteri, colonizzano parti dell’apparato urinario quali l’uretra, la vescica, gli ureteri o i reni. L’agente causale più comune è l’Escherichia coli, un batterio Gram-negativo (batteri che appaiono di colore di rosa/rosso dopo aver subìto la colorazione di Gram ) che normalmente abita l’intestino facendo parte del microbiota intestinale, ma può risalire attraverso l’uretra colonizzando vie urinarie che sono biologicamente sterili.

Le infezioni vengono suddivise in due grandi categorie :

  • Non complicate: quando colpiscono individui sani senza anomalie anatomiche o funzionali (es: CISTITE ACUTA NON COMPLICATA donne sane, non gravide). Terapie antibiotiche limitate a pochi giorni.
  • Complicate: quando sono presenti fattori predisponenti come anomalie dell’apparato urinario, cateterismo, gravidanza o immunodepressione (CISTITI COMPLICATE, PROSTATITI, PIELONEFRTITI, UROSEPSI). Negli uomini devono essere sempre considerate come IVU complicate. Spesso richiedono terapie antibiotiche per periodi più lunghi o nei casi severi ricovero in ospedale.

Anche batteri meno frequenti, come Klebsiella, Proteus mirabilis, Enterococcus faecalis e Staphylococcus saprophyticus, possono causare infezioni, in particolare in soggetti con condizioni cliniche specifiche. Alcune di queste infezioni possono essere difficili da eradicare a causa della formazione di biofilm batterici, una protezione naturale che i microrganismi creano per resistere agli antibiotici e alle difese immunitarie.

Sintomi e segni da non sottovalutare

La presentazione clinica delle infezioni vie urinarie varia notevolmente in base alla sede anatomica coinvolta e alle caratteristiche del paziente. Secondo i Manuals MSD , uno dei riferimenti internazionali per la medicina clinica, “i pazienti anziani e i pazienti con vescica neurologica o con catetere a permanenza possono presentare sepsi e delirium, anche in assenza di sintomi riferibili alle vie urinarie”, evidenziando quanto sia cruciale non sottovalutare manifestazioni apparentemente non correlate.​

La disuria, ovvero il bruciore o dolore durante la minzione, rappresenta il sintomo più caratteristico e riconoscibile, spesso accompagnato da pollachiuria (aumento della frequenza minzionale) e urgenza vescicale. Quando l’infezione colpisce le basse vie urinarie, come nella cistite, il quadro sintomatologico include:

  • Bruciore alla minzione e sensazione di svuotamento incompleto della vescica
  • Urgenza e frequenza minzionale aumentata, con necessità di urinare anche pochi minuti dopo l’ultima minzione
  • Dolore sovra pubico o pelvico, talvolta irradiato alla zona lombare
  • Ematuria (presenza di sangue nelle urine), che può manifestarsi con urine rosate o rossastre
  • Urina torbida o maleodorante, segno di carica batterica elevata​

Quando l’infezione si estende all’uretra, i pazienti lamentano principalmente dolore e bruciore localizzati durante la fuoriuscita dell’urina, spesso associati a secrezioni uretrali, particolarmente evidenti negli uomini.

Sintomi infezioni delle vie urinarie superiori

Le infezioni delle vie urinarie superiori, come la pielonefrite acuta, presentano un quadro severo con manifestazioni sistemiche. La febbre elevata (spesso oltre i 38,5°C), i brividi intensi e il dolore al fianco o nella regione lombare rappresentano i segnali distintivi. A questi si aggiungono frequentemente nausea, vomito e malessere generale, che possono evolvere rapidamente verso complicanze come la sepsi urinaria se non trattate tempestivamente.​

Una particolare attenzione va riservata alla popolazione anziana, dove il quadro sintomatologico può essere completamente atipico e fuorviante. Come confermato da alcuni studi sulla presentazione atipica delle malattie nell’anziano, le infezioni urinarie possono manifestarsi con confusione mentale acuta, agitazione, perdita dell’appetito, cadute immotivate o alterazioni comportamentali, in totale assenza dei classici sintomi urinari.

Questa presentazione atipica rende la diagnosi più complessa e ritarda spesso l’intervento terapeutico, aumentando il rischio di complicanze gravi (come l’urosepsi).

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Cause e fattori di rischio: oltre il batterio escherichia coli

Sebbene l’Escherichia coli rappresenti l’agente eziologico dominante nelle infezioni delle vie urinarie, responsabile del 80-90% dei casi in pazienti con tratto genitourinario normale, la patogenesi di questa condizione è significativamente più complessa e multifattoriale.
Come evidenziato dai Manuals MSD , “anormalità anatomiche, strutturali e funzionali sono fattori di rischio per infezione urinaria”, sottolineando come la predisposizione individuale giochi un ruolo determinante nell’insorgenza e nella ricorrenza del disturbo.​

L’epidemiologia delle infezioni urinarie varia significativamente in base all’età e al genere del paziente. Durante l’infanzia, le anomalie anatomico-funzionali rappresentano il principale fattore predisponente in entrambi i sessi, mentre nell’età adulta emergono differenze marcate: nelle donne tra i 16 e i 35 anni, i rapporti sessuali, l’uso di creme spermicide e precedenti episodi di IVU costituiscono i fattori predominanti, con una prevalenza che raggiunge il 20%.

Negli uomini della stessa fascia d’età, l’incidenza rimane più contenuta (0,5%), legata principalmente ad anomalie anatomiche.

I fattori che facilitano lo sviluppo di un’infezione alle vie urinarie sono quindi molteplici e spesso legati ad abitudini di vita o condizioni anatomiche. Tra i più importanti, per sintetizzare il tutto, si trovano:

  • Ritenzione urinaria e svuotamento incompleto della vescica, spesso correlati a disfunzioni del pavimento pelvico o a problemi prostatici negli uomini.
  • Igiene intima scorretta, in particolare il lavaggio da dietro verso avanti che può favorire il passaggio di batteri fecali nella zona uretrale.
  • Uso di dispositivi medici come cateteri o spirali intrauterine.
  • Modificazioni ormonali, specialmente nella menopausa, che alterano la barriera mucosa e l’equilibrio del microbiota vaginale e urinario.
  • Rapporti sessuali frequenti o non protetti, che facilitano la contaminazione batterica.

La moderna ricerca clinica ha inoltre evidenziato l’importanza del microbiota urinario nel mantenere l’equilibrio e prevenire infezioni. La presenza di batteri benefici come Lactobacillus potrebbe proteggere naturalmente la vescica, aprendo nuove prospettive terapeutiche basate su probiotici specifici.

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Diagnosi: dalla clinica ai test innovativi

La diagnosi accurata delle infezioni vie urinarie rappresenta un passaggio fondamentale non solo per garantire un trattamento efficace, ma anche per contrastare il fenomeno crescente dell’antibiotico-resistenza.

Secondo le linee guida aggiornate al 2025 pubblicate su ReAd Files , “l’urinocoltura resta il gold standard per la diagnosi microbiologica di IVU”, ma la sfida attuale consiste nell’integrare nella pratica clinica quotidiana le nuove tecnologie molecolari senza cadere nel rischio di sovradiagnosi.​

Il percorso diagnostico inizia sempre con una raccolta anamnestica dettagliata e con la valutazione clinica dei sintomi: disuria, pollachiuria, dolore pelvico o lombare sono elementi che orientano verso un sospetto di infezione urinaria.
È fondamentale ricordare che la sola presenza di batteri nelle urine (batteriuria asintomatica) non è sufficiente per diagnosticare un’infezione urinaria e quindi non giustifica l’inizio di una terapia antibiotica nei pazienti senza sintomi, salvo eccezioni come gravidanza o procedure urologiche invasive.​

L’esame delle urine con stick urinario rappresenta il primo approccio diagnostico di screening. Questo test rapido permette di rilevare la presenza di leucociti attraverso l’esterasi leucocitaria, la presenza di nitriti (indicatori di batteri gram-negativi) e altre cellule infiammatorie che configurano il quadro della piuria.

L’urinocoltura con antibiogramma rimane l’esame di riferimento per la conferma diagnostica definitiva. Questo test permette di identificare con precisione il patogeno responsabile e di testarne la sensibilità agli antibiotici, consentendo così di impostare una terapia mirata e di ridurre l’uso inappropriato di farmaci ad ampio spettro. La raccolta corretta del campione, preferibilmente del mitto intermedio, è essenziale per evitare contaminazioni che possono falsare i risultati.

Terapie aggiornate: più attenzione alla resistenza antibiotica

La gestione farmacologica delle infezioni delle vie urinarie sta attraversando una fase di profonda revisione alla luce dei dati allarmanti sulla resistenza antimicrobica (AMR).

Secondo l’ultimo rapporto presentato dalla Società Italiana di Urologia (SIU) nell’ottobre 2025 durante la conferenza nazionale “Antibiotico-resistenze in Urologia” , la situazione italiana è particolarmente critica: fino al 50% dei ceppi di Escherichia coli risulta ormai resistente al trimetoprim-sulfametossazolo (TMP-SMX), mentre le resistenze ai fluorochinoloni interessano circa il 30% degli isolati. Ancora più preoccupante è la crescita significativa di ceppi ESBL-positivi (produttori di beta-lattamasi a spettro esteso) e resistenti ai carbapenemi, antibiotici considerati di ultima linea.​

L’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana conferma questa tendenza nel suo vademecum 2025 sulla buona prescrizione antibiotica, evidenziando che “più di un quinto degli antibiotici disponibili sul territorio indicati per trattare le infezioni urinarie da Escherichia coli falliscono”. Questo dato solleva interrogativi urgenti sull’efficacia delle strategie terapeutiche tradizionali e sulla necessità di rivedere completamente l’approccio prescrittivo.​

Le nuove linee guida internazionali — pubblicate dall’Infectious Diseases Society of America (IDSA) nel 2025 dopo 14 anni dall’ultima revisione, e aggiornate dall’European Association of Urology (EAU) e dalla Associazione dei Medici della Germania (AWMF) nel 2024 — introducono cambiamenti sostanziali nella gestione delle IVU.

Tra le novità più rilevanti emerge la nuova classificazione che distingue tra infezioni localizzate e sistemiche, e soprattutto la raccomandazione che nelle cistiti semplici localizzate, i FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) e le terapie non antibiotiche rappresentano la prima scelta terapeutica.​

In quest’ottica, le linee guida contemporanee suggeriscono un approccio più razionale e personalizzato basato su principi fondamentali di antimicrobial stewardship:

  • Limitare l’uso degli antibiotici agli episodi con sintomi chiari e conferma microbiologica attraverso urinocoltura. La batteriuria asintomatica, salvo eccezioni specifiche come gravidanza o procedure urologiche invasive, non richiede trattamento antibiotico.
  • Preferire antibiotici a spettro ristretto nelle infezioni semplici, seguendo la classificazione AWaRe dell’OMS che suddivide gli antimicrobici in tre categorie: Access (verde, prima scelta con spettro ristretto), Watch (giallo, ad ampio spettro per casi più gravi) e Reserve (rosso, ultima linea per infezioni multiresistenti).​
  • Passare rapidamente dalla terapia endovenosa a quella orale non appena si osserva un miglioramento clinico e il paziente è in grado di assumere farmaci per bocca, riducendo così gli effetti collaterali, i costi ospedalieri e il rischio di complicanze associate alle vie venose.​
  • Ridurre la durata della terapia quando la risposta clinica è positiva. Le evidenze più recenti indicano che per le infezioni urinarie complicate con febbre, la durata totale dovrebbe essere di 5-7 giorni con fluorochinoloni o 7 giorni con altri antibiotici, significativamente inferiore ai 14 giorni della pratica comune.​

Parallelamente all’evoluzione dell’approccio antibiotico, si stanno affermando diverse opzioni terapeutiche complementari e alternative che potrebbero ridurre la dipendenza dagli antimicrobici tradizionali:

  • Il D-mannosio, uno zucchero semplice presente naturalmente in alcuni frutti, agisce impedendo l’adesione batterica alle pareti della vescica attraverso un meccanismo di competizione molecolare. Particolarmente efficace contro l’E. coli, che utilizza le fimbrie di tipo 1 per ancorarsi all’urotelio, il D-mannosio si lega a queste strutture impedendo la colonizzazione batterica.
  • I probiotici specifici per l’apparato urinario, contenenti ceppi selezionati di Lactobacillus come L. rhamnosus e L. reuteri, stanno emergendo come strumento preventivo importante. A differenza dei probiotici intestinali, questi formulati sono progettati per ripristinare e mantenere l’equilibrio del microbiota urinario e vaginale, creando un ambiente ostile alla proliferazione di uropatogeni.
  • Le terapie immunostimolanti, come il vaccino orale OM-89 (Uro-Vaxom®), contenente 18 ceppi inattivati di Escherichia coli, stimolano la risposta immunitaria sistemica e locale, riducendo la frequenza delle recidive. Sebbene la sua efficacia sia documentata da diversi studi clinici, l’utilizzo in Italia rimane ancora limitato.

In risposta a questa emergenza sanitaria, la Società Italiana di Urologia ha lanciato nell’ottobre 2025 il progetto strategico “MAGA one – Make Antibiotics Great Again” (leggi qui la notizia), un programma ambizioso che si propone di sviluppare linee di indirizzo clinico-terapeutiche a rapida consultazione, creare un osservatorio nazionale sull’uso dell’antibioticoterapia in urologia, certificare centri di riferimento per la gestione delle infezioni urinarie e promuovere campagne di informazione pubblica contro l’autoprescrizione.​

Questo cambio di paradigma nella gestione delle infezioni vie urinarie — dal trattamento empirico e standardizzato alla terapia personalizzata, mirata e multimodale — rappresenta non solo una necessità clinica, ma un dovere etico verso le generazioni future, per preservare l’efficacia degli antibiotici ancora disponibili.

Prevenzione: pratiche quotidiane e consigli

Prevenire le infezioni è spesso la strategia più efficace per evitare sintomi fastidiosi e complicanze.

Nella vita di tutti i giorni, puntare su:

  • Idratazione adeguata: punta a circa 2 L d’acqua al giorno (da adattare a stile di vita e condizioni cliniche) per favorire il ricambio urinario e diluire la carica batterica, utile soprattutto nelle donne con IVU ricorrenti e basso apporto di liquidi.
  • Minzioni regolari: non trattenere la pipì e svuotare la vescica ogni ~3 ore per ridurre il ristagno urinario; urinare prima e/o dopo i rapporti è una misura a basso rischio tradizionalmente consigliata (con prove non conclusive sull’efficacia preventiva).
  • Igiene intima non aggressiva: usare detergenti delicati, senza profumi o agenti aggressivi; indossare biancheria in fibre naturali e mantenere la zona asciutta per limitare irritazioni, variazioni di pH e colonizzazione batterica.

Accanto a queste abitudini, esistono suggerimenti meno noti ma potenzialmente utili. In caso di infezioni ricorrenti, è opportuno valutare la funzionalità del pavimento pelvico con un professionista: una disfunzione minzionale (p. es. svuotamento inefficace) può aumentare il rischio di IVU, e un percorso di riabilitazione mirato può migliorare i sintomi e i flussi urinari.

Sul fronte alimentare, integrare la dieta con alimenti ricchi di prebiotici (che nutrono il microbiota) e fonti di vitamina C può supportare le difese naturali e il microbiota urogenitale; le evidenze su vitamina C specificamente per prevenire le IVU sono contrastanti, mentre il ruolo del microbioma intestinale-vaginale-urinario nella suscettibilità alle IVU è sempre più riconosciuto.

In ogni caso, queste strategie completano, ma non sostituiscono, le misure comportamentali di base.

Osservazioni finali

La gestione ottimale delle infezioni vie urinarie richiede un equilibrio tra prevenzione, diagnosi tempestiva e terapia mirata, con consapevolezza sull’uso responsabile degli antibiotici per contrastare la resistenza. La ricerca emergente su biofilm e microbiota urinaria apre nuove strade verso trattamenti personalizzati e meno invasivi.

Un suggerimento pratico è considerare la possibilità di collaborare con professionisti della riabilitazione pelvica per migliorare la funzione vescicale, soprattutto nei casi di infezioni recidivanti. Inoltre, il monitoraggio periodico e mirato della flora microbica potrebbe diventare un utile strumento predittivo per prevenire futuri episodi infettivi.

Domande frequenti sulle infezioni delle vie urinarie

1. Che differenza c’è tra cistite e infezione urinaria?

La cistite rappresenta una specifica forma di infezione limitata alla vescica, caratterizzata da infiammazione della mucosa vescicale. Per contro, il termine infezione delle vie urinarie (IVU) abbraccia un concetto più esteso: si riferisce a qualsiasi processo infettivo che può interessare l’uretra, la vescica, gli ureteri o i reni. Possiamo quindi affermare che ogni cistite costituisce un’infezione urinaria, ma esistono molte forme di IVU che non coinvolgono affatto la vescica, come l’uretrite o la pielonefrite renale.​

2. Come si prende un’infezione alle vie urinarie?

Le IVU si sviluppano quando microrganismi patogeni, specialmente l’Escherichia coli normalmente residente nell’intestino, migrano attraverso l’uretra raggiungendo la vescica o strutture superiori. Diversi comportamenti favoriscono questo processo: una scarsa idratazione, l’abitudine di rimandare la minzione, pratiche igieniche inadeguate (come detergere dalla zona anale verso quella uretrale), l’utilizzo di dispositivi medici invasivi e i cambiamenti ormonali tipici della menopausa. È importante sottolineare che le infezioni urinarie non rappresentano patologie trasmissibili per contatto interpersonale.​

3. Quali sono i sintomi di un’infezione alle vie urinarie?

Le manifestazioni cliniche tipiche comprendono un dolore bruciante durante l’emissione di urina, la necessità di urinare con frequenza elevata anche con piccole quantità, urgenza minzionale difficile da controllare e fastidio nella regione sovrapubica. L’aspetto delle urine può modificarsi, apparendo opaco o emanando odore sgradevole. Quando l’infezione raggiunge i reni provocando pielonefrite, il quadro si aggrava con temperatura corporea elevata, dolore intenso nella zona lombare, sensazione di nausea e tremori febbrili. Nei soggetti anziani la presentazione può essere fuorviante, manifestandosi attraverso alterazioni dello stato mentale o riduzione della mobilità.​

4. Quanto dura un’infezione urinaria?

La risoluzione di una cistite non complicata trattata adeguatamente avviene tipicamente nell’arco di 48-72 ore dall’inizio della terapia, con completa guarigione entro una settimana. Per le forme complicate che coinvolgono il parenchima renale, il percorso terapeutico si estende tra i 5 e i 14 giorni, potendo raggiungere le 6 settimane nelle prostatiti batteriche croniche. L’assenza di un intervento farmacologico appropriato espone al rischio di progressione dell’infezione verso complicanze potenzialmente gravi, inclusa la sepsi urinaria.​

5. Come si cura un’infezione alle vie urinarie?

L’approccio terapeutico fondamentale si basa sull’utilizzo di antimicrobici selezionati dopo aver identificato il batterio responsabile tramite urinocoltura. La scelta ricade comunemente su molecole quali nitrofurantoina, fosfomicina trometamolo, fluorochinoloni o cotrimossazolo, con schemi posologici variabili da 3 a 14 giorni secondo gravità e localizzazione. Esistono inoltre strategie terapeutiche complementari che stanno acquisendo crescente evidenza scientifica: la metenamina ippurato (che rilascia formaldeide in ambiente acido), il D-mannosio (che blocca l’adesione batterica), e formulazioni probiotiche urogenitali specifiche, particolarmente indicate nella gestione preventiva delle recidive.​

6. Quando preoccuparsi per un’infezione alle vie urinarie?

Alcune manifestazioni richiedono valutazione medica immediata: temperature corporee che superano i 38,5°C, dolore acuto ai fianchi o alla regione lombare, episodi di vomito ripetuto, presenza visibile di sangue nelle urine o mancato miglioramento dei sintomi nonostante l’assunzione regolare della terapia prescritta. Condizioni che meritano attenzione particolare includono lo stato gravidico, il diabete mellito, situazioni di immunocompromissione e la popolazione geriatrica quando presenta sintomi neurologici come stato confusionale acuto. Questi elementi possono segnalare un’evoluzione verso pielonefrite acuta o sepsi sistemica, condizioni che necessitano di ricovero ospedaliero e trattamento endovenoso urgente.

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