Donne e medicina: 1 su 3 abbandona la sala chirurgica

17 Giugno 2022

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Dopo diversi anni di studi e pratica, le donne chirurgo continuano a stare un passo indietro rispetto ai loro colleghi uomini. La situazione nel nostro Paese, infatti, non è migliore rispetto a quella del resto del globo e i continui studi promossi dal Woman in Surgery lo dimostrano. 

Sale chirurgiche e donne chirurgo

Chirurghe sulla carta ma raramente in prima linea. Le donne che dopo innumerevoli anni di studi e ore di pratica riescono finalmente a diventare chirurghi sempre più spesso svolgono “semplici” attività di ambulatorio o di reparto. Tale situazione è tanto triste quanto diffusa, motivo per il quale il Women in Surgery Italia ha deciso di studiare il fenomeno e poi pubblicare i dati ottenuti all’interno della rivista Updates in Surgery. La ricerca effettuata parte da 1800 chirurghe tutte impegnate in ospedali del nostro Paese. Un campione vario che comprende al proprio interno donne dalle specializzazioni diverse con numerosi anni di esperienza alle spalle, talvolta anche all’estero. 

Secondo quanto rilevato circa il 35% di queste ha dovuto abbandonare l’attività di chirurgo per dedicarsi a quella ambulatoriale. Ma non solo: il fenomeno del sottoutilizzo in sala operatoria è così alto che più della metà delle chirurghe coinvolte ha dichiarato di dedicare oltre il 50% del proprio tempo ad attività non strettamente correlate alla chirurgia – quali servizi di reparto e/o servizi ambulatoriali – anche se preferirebbero non farlo. Gaya Spolverato, chirurgia oncologica dell’Azienda Ospedale Università di Padova ha infatti dichiarato che: “In Italia, finire la scuola di specializzazione e diventare chirurghe non significa fare effettivamente i chirurghi, anche se è ciò a cui si aspira. Molte di noi hanno il titolo, ma svolgono attività clinica e non di sala operatoria”.


Lo studio però non si ferma qui: evidenzia, infatti, altri dati sconcertanti. Le chirurghe prese in esame hanno anche evidenziato le numerose condotte discriminatorie. Il 61% di loro ha dichiarato di essere stata trattata in maniera diversa a causa del proprio genere; il 50% ritiene addirittura di godere di una considerazione inferiore rispetto ai colleghi uomini e il 47% di avere meno possibilità di essere promosso come insegnante o tutor dei giovani studenti. Questo quadro si riflette così anche in sala operatoria, dove l’attività svolta come primo operatore in casi ad alta complessità è solo del 8,4% e del 17% per quelli invece a bassa complessità. 

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