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La Depersonalizzazione – parte I

Dott. Giuseppe Lago – Specialista in psichiatria

Della depersonalizzazione si parla da più di un secolo, ma il suo inquadramento è sempre stato molto difficile, data la trasversalità del disturbo, ossia il suo presentarsi in varie patologie mentali, senza diventare la caratteristica importante di uno solo. In psicopatologia, troviamo la depersonalizzazione tra i sintomi più frequenti dopo ansia e depressione, dei quali condivide quindi la trasversalità.

La Depersonalizzazione: una premessa

Della depersonalizzazione si parla da più di un secolo, ma il suo inquadramento è sempre stato molto difficile, data la trasversalità del disturbo, ossia il suo presentarsi in varie patologie mentali, senza diventare la caratteristica importante di uno solo.

In psicopatologia, troviamo la depersonalizzazione tra i sintomi più frequenti dopo ansia e depressione, dei quali condivide quindi la trasversalità e si propone come fenomeno reattivo da studiare nel complessivo funzionamento della personalità. Ciò che interessa, non è tanto in quante forme si manifesti il fenomeno depersonalizzazione ma come esso si manifesti e perché.

Sorvolerò, quindi, sugli aspetti categoriali e mi occuperò della dimensionalità del fenomeno, avendo a cuore la visione integrata del metodo esposto nel Compendio di Psicoterapia (2016). Il punto di vista integrato, infatti, mi permette di mettere insieme le varie chiavi di lettura (fenomenologica, psicodinamica, neurobiologica) che si sono avvicendate, e ancora lo fanno, nel dare una spiegazione della depersonalizzazione utile al clinico.

Definizione di depersonalizzazione

Comincio con una definizione di depersonalizzazione originaria e originale da parte di Dugas, colui che ha coniato il termine depersonalizzazione:
[ … ] (la persona) continuerà a percepire suoni, colori e forme, esperienze tattili, profumi etc., ma le sembrerà che queste impressioni non attecchiscano e non la coinvolgano più; continuerà ad avere dei ricordi, ma le sembrerà che il passato evocato le sfugga, che non sia più suo; continuerà a pensare, ragionare, agire ed essere mossa dagli affetti, ma le sembrerà di non essere più lei a pensare, a ragionare, ad agire, a provare piacere e dolore.

Nulla, per ipotesi, sarà cambiato nella sua vita eppure tutta la sua vita le sembrerà cambiata; non si riconoscerà più, si meraviglierà d’esistere, sarà fuori dei suoi fenomeni. Questo stato non è per niente immaginario, ma reale. E’ ciò che noi studieremo e che abbiamo chiamato depersonalizzazione.

Questo stato è così strano, così fuori da tutto, che si sarebbe tentati di trattarlo come una pura illusione, di considerarlo impossibile (p. 2) […] il folle, per cessare di esserlo, non ha bisogno che di sapere di esserlo; e, lo hanno notato tutti gli osservatori, il soggetto affetto da depersonalizzazione si rende conto del carattere illusorio delle impressioni che subisce. E’ proprio il tratto più saliente, quello che si può prendere per distintivo della sua malattia (p. 3) [ … ]

Piccolo approfondimento

La depersonalizzazione, in altri termini, è essenzialmente un disturbo cosciente o che rientra in ciò che si chiama manie raisonnante, follia lucida, essendo la lucidità, per definizione, il giudizio normale e sano che un soggetto porta sulle sue impressionj insane o malate.

Non si sospetta un testimone che si assume le sue responsabilità; non si chiama smanito uno spirito che non vede il suo smarrimento; noi crederemo dunque al malato che accusa dei disturbi di depersonalizzazione.

Noi diremo che egli merita la nostra fiducia solo perché lui stesso non ne abusa, perché non è vittima delle sue visioni. In effetti, quale che sia la gravità dei disturbi di cui risente, e dal momento in cui è sotto l’impressione dolorosa causata da questi disturbi, egli non cessa mai d’affermare che egli è e si sente sempre in possesso della sua ragione (p. 4) […] (Dugas e Moutier, 1911).

Dichiarazioni di un giovane paziente

Proviamo adesso ad ascoltare le dichiarazioni di un giovane paziente riportate da Sierra (2009):

[…] Sento continuamente, in qualche misura, di “essere fuori”, ma è come se ormai mi fossi abituato a essere così. Ci sono dei momenti in cui mi sento molto esterno al mio corpo; guardo le persone, so chi sono ma non posso collocarmi lì. Mi ricordo eventi dal passato, ma non sempre ci rivedo ‘me’. Anche le foto in cui sono presente mi sembrano diverse.

Non mi piace la persona che mi ricordo di essere; mi è difficile guardarmi allo specchio dal momento che non sempre riconosco la persona che mi è di fronte.
Osservare le cose familiari durante un brutto episodio mi turba profondamente. Le guardo, ma semplicemente non mi sembrano reali, non mi sembrano le stesse e non mi sono più familiari, anche se dentro di me so che lo sono, vedo le cose in maniera diversa dal passato, quasi come se vedessi qualcosa di noto ma che non riconosco più. Mi sembra di guardare con gli occhi di qualcun altro.

Parlo e le parole vengono semplicemente fuori; non mi sembra di avere controllo su ciò che dico, è come se si innescasse il pilota automatico, la mia voce non mi sembra ‘mia’ quando viene fuori. Qualche volta mi meraviglia come riesca ad affrontare le conversazioni pur senza sentirmi affatto presente.

Posso starmene seduto a guardarmi i piedi o le mani e sentire che non mi appartengono. Ciò mi può accadere quando scrivo, la mano scrive ma non le sto dicendo io di farlo. Mi sembra quasi come di essere morto, ma nessuno ha pensato di avvertirmi e così sono stato lasciato a vivere in un guscio che non riconosco più.

Mi capita di sentire confusi i miei sentimenti, quasi come fossi vuoto dentro. Odio il fatto che non riesco più a sentire le cose come facevo in passato. E’ dura con la vita di tutti i giorni, perché la maggior parte del tempo la passo a cercare di capire cosa sia un sogno e cosa sia invece la vita reale, ciò che davvero è accaduto.[ … ] (Sierra, 2009,p. 51)

La complessità della sindrome della depersonalizzazione

Non potendo inquadrare come sintomo il fenomeno di depersonalizzazione, in quanto trasversale a più patologie, è conveniente delinearlo come sindrome, ossia una manifestazione complessa caratterizzata da almeno una delle quattro componenti :

  • Disincarnazione
  • Desanimazione
  • Deideazione
  • Derattizzazione

Non sindromi ma unità del fenomeno

Delimitare delle aree sindromiche, come quelle su esposte, non deve far perdere di vista l’unità del fenomeno della depersonalizzazione e la sua appartenenza a un processo che scaturisce allo stesso tempo da attivazioni neurobiologiche fortemente implicate con motivazioni psicologiche.

L’esposizione dei quattro aspetti, attraverso i vissuti e le espressioni dei pazienti dimostra l’assenza di una linea netta di demarcazione tra essi e la commistione tra l’uno e l’altro, pur permanendo una prevalenza di una componente, che dipenderà dalla personalità del soggetto e dalla sua storia, ossia da quello che in psicopatologia viene definito come il disturbo generatore.

Esiste, però, un comune denominatore anche nelle manifestazioni di pazienti che si esprimono in modo diverso, cioè presentano una diversa patologia della personalità (ad es. di tipo nevrotico o di tipo psicotico; etc.).

Tale terreno comune a tutte le forme di depersonalizzazione possiamo individuarlo in due vissuti fondamentali che si ritrovano quasi costantemente in ogni dichiarazione e in ogni resoconto dei soggetti. I due vissuti da mettere in evidenza sono:

  • Vissuto di cambiamento
  • Vissuto di estraneità

Esempi che dimostrano la coesistenza e la costanza di questi vissuti nella depersonalizzazione

Donna, 33 a. […] Tutto mi è indifferente, sono tanto indifferente da non provare più affetto verso i miei figli; i miei sentimenti verso i familiari sono diventati così freddi che li sento estranei; io non ho più sentimento.

Tutto è diverso e cambiato, mi sento cambiata anche nel mio io, sono tanto cambiata che potrei iniziare una nuova vita, come se fossi nata ora. Non ho più ricordo del passato; o meglio, non è che io non abbia più i ricordi, solo che non li vivo come prima.

Io ricordo di essere stata fidanzata, di essermi sposata, di avere avuto dei figli; ricordo bene anche particolari insignificanti, però non ‘vivo’ quei ricordi; essi mi appaiono insignificanti, scialbi, senza luce. […] (Callieri e Semerari, 1953)

Uomo, 17 a. […] Quando mi sveglio, mi sento tutto confuso, mi sembra come di essere cambiato, come se dovessi essere costretto a fare qualcosa. Mi sembra come di sognare, come se intorno a me ci fosse qualcosa di strano, di diverso. Come se la realtà fosse diversa, non so però precisare meglio cosa c’è, tutto è diverso per qualche minuto […] (Callieri e Felici, 1968)

Disincarnazione, prima componente della depersonalizzazione

Chiamata anche decorporeizzazione, è senza dubbio un disturbo dell’immagine corporea, ossia della rappresentazione mentale del proprio corpo, quindi di quella che potremmo definire mentalizzazione del corpo, ovvero immagine corporea[1].

In tal senso, il corpo non è soltanto un oggetto o una dotazione materiale della persona ma è il corpo vissuto (Husserl, 1931), ovvero il corpo che sono, non soltanto il corpo che ho (Callieri e Semerari, cit.).

Parliamo di alterazioni dell’esperienza corporea che si esprimono in forma varia, come se si fosse creato uno scollamento tra la persona e quello che diventa il suo involucro corporeo, fino a sperimentare una fuoriuscita dai limiti fisici del corpo stesso.

Un esempio per la disincarnazione

[…] Non sento di avere un corpo. Quando guardo sotto vedo le mie gambe e il mio corpo ma mi sembra come se non ci fossero. Quando mi muovo vedo i movimenti man mano che mi muovo, ma non sono lì con i movimenti.

Salgo le scale, vedo le mie gambe e sento i passi e i muscoli, ma mi sembra come se non avessi un corpo; non sono lì. Sento che il mio volto e il mio corpo non sono affatto presenti: quasi invisibili. Vedo le mani e il corpo fare cose, ma non mi sembra di essere io e non sono affatto in connessione con il corpo. Non mi sento vivo in alcun modo.

Non sento niente se non il freddo e il caldo; forse la fame. Anche se mi tocco il volto sento o percepisco qualcosa, ma la mia faccia non è lì. Poiché ho bisogno di sentirlo, lo strofino, lo tocco e arrivo a farmi male pur di sentire qualcosa. Mi tocco il collo, per esempio, con la mano, ma non sento che è la mia mano a toccarlo. Non riesco a percepire di toccare il mio stesso corpo. Quando mi muovo e cammino e parlo non sento niente. Faccio esercizio fisico ma non sento di fare niente, si muovono solo i miei muscoli ma non il mio corpo, è da pazzi non sentirsi muovere, parlare. […] (Sierra, 2009, cit., p. 53)

Desaminazione, seconda componente della depersonalizzazione

Si tratta di una diminuzione dell’esperienza emotiva, un vero e proprio ottundimento affettivo che nella metodologia esposta nel Compendio (cit., 2016) corrisponde a un innalzamento della quota protomentale a fronte di un distacco vissuto, come nella descrizione di Dugas, nella quale il soggetto continua a ragionare e ad analizzare la sua condizione distaccata ma denuncia la perdita di un sentimento particolare che è anche di appartenenza a se stesso, di riconoscimento di se stesso. In questa condizione, il soggetto ha la consapevolezza dolorosa e incessante di uno sdoppiamento della sua personalità vissuto però come sentimento di estraneità, per cui si offre a una distinzione fondamentale con gli sdoppiamenti di tipo isterico[1], nei quali persiste una sorta di amnesia nel passaggio da una condizione all’altra.

Qui, nella desanimazione, la frattura beante dell’Io stabilisce un vissuto angosciante ma consapevole, che si esprime nell’attitudine al confronto continuo tra il presente desanimato e il passato nel quale la perdita del sentimento di sé non c’era, e il soggetto non viveva l’attuale sentimento di vuoto interiore o di morte mentale. Ancor più vivo, quindi, in questo caso, il rimpianto di un’integrità perduta e il vissuto catastrofico di esservi pervenuto per una via imprevista, attraverso un cambiamento tanto inaspettato quanto sgradevole e perturbante. 

Testimonianze femminili della desaminazione

Donna 45 a. […] Mi sento angosciata, preoccupata per il continuo dubbio sulla mia persona sia mentale che fisica, e sul mondo che mi circonda. So come mi chiamo, ma è veramente questo il mio nome? Sono proprio io o potrei essere un’altra persona? Ho molta paura di non poter riconoscere i miei, di non poter più riconoscere la loro fisionomia. Ho anche paura di impazzire perché so di essere malata, vorrei entrare nella mente di un’altra persona per poter vedere il mondo da un altro punto di vista. […] (Callieri e Felici, cit.)

Donna 25 a. […] Ho una intensa paura di guardarmi allo specchio, perché non mi riconosco, cerco di immaginarmi come sono, ma mi sembra di non appartenermi più, di non sapere chi sono. Anche la mia vita passata sembra che appartenga ad un estraneo. Anche gli amici, i familiari, i conoscenti, sembrano estranei, senza un legame con me…Sono un cervello pensante, quasi senza carne ed ossa. […] (ivi)

Donna 32 a. […] Mi è difficile uscire di casa. Quando la mattina esco per andare a lavoro mi sento smarrita. A lavoro faccio uno sforzo sovrumano. Non mi va di dire più niente a nessuno di quello che sento. Faccio tutto per abitudine senza sentire niente…Tutte le mie azioni sono subordinate alla volontà di mio marito; esco di casa se egli decide di uscire e vado dove vuole…Sono più di cinque anni che conduco questa vita tra casa e lavoro…

A volte mi sembra d’essere due persone; come ero prima quasi non me lo ricordo più. Se perdo l’abitudine di fare una cosa, mi è difficilissimo rifarla. A volte, al lavoro, mentre le colleghe mi parlano, ho paura di rispondere una cosa per un’altra, ma intanto non mi va di dire loro quello che ho…Mi sento estranea al mondo.

Mi sembra di essere sola: a volte perdo la cognizione dello spazio e del tempo. Non sento affetti né gioia di vivere…la mia vita è una finzione…Gli avvenimenti della vita si fermano nella mia memoria e mi sembra di essere rimasta indietro nel tempo. Neanche la cognizione di spazio è ben chiara in me: a volte mi sembra di essere lontana dal mondo e le persone mi sembrano tutte cose. Mi sento come un automa. Gli occhi me li sento incavati, quasi sprofondati.

Non c’è senso di continuità in me. Le cose che tante volte ho fatto con spontaneità e naturalezza mi sembrano nuove e le faccio con grande sforzo. Ho perso tutte le emozioni, tutti i sentimenti, mi sento condannata all’aridità. Mi sento uscire le lacrime, se piango, da una parte sola. […] (ivi)

Testimonianze maschili della desaminazione

Uomo, 35 a. […] Mi sento bloccato, separato dalla società, non mi sento integrato con il prossimo. Non vedo un futuro, non sento la forza dei miei sentimenti. Essi sono presenti, non sono scomparsi ma sono quasi inesistenti. La prima volta è stato un mutamento pauroso, nell’ambito dei sentimenti, non della ragione o dell’intelletto che sono ancora normali. Ho una separazione tra la ragione e il sentimento, non ho una spinta, un interesse per la vita. E’ una sofferenza intensa essere privo di sentimenti, il non avvertire i sentimenti. Gli altri non arrivano fino a me con i sentimenti, le emozioni, anche se sento le loro parole. […] (ivi) 

Uomo 22 a. […] Mi sembra che la vita sia una cosa strana, sono presente ad una cosa ad un avvenimento, ma mi sembra che non sia vero, che sia come un gioco. E’ questa pesantezza alla testa che non so spiegarmi. Sono io che sono diverso. Sul momento mi sembra vera una cosa, poi ho qualcosa in testa che mi ostacola, forse dipende dalla stanchezza. Questo cambiamento è avvenuto a poco a poco. Mi è cominciato prima nel sogno poi nella realtà. I sogni non mi sembravano più miei, erano estranei, poi a poco a poco questa sensazione si è estesa anche alla realtà…Tutta la realtà mi sembra estranea, non un aspetto particolare di essa. Ho anche sentito meno affetto per i miei genitori, per i miei amici. Ma non sento dispiacere per questo. […] (ivi) 

Deidazione, terza componente della depersonalizzazione

Il soggetto riferisce di non possedere più la capacità di immaginare o di rievocare i ricordi. Nella rievocazione di questi ultimi, viene denunciata la perdita dell’esperienza del tempo, del senso della durata, del collegamento tra passato, presente e futuro. La difficoltà di rappresentazione per immagine si spinge fino all’esperienza del vuoto mentale, una sorta di schermo piatto dove il mondo ha smesso di esistere.

Esempio femminile di deidazione

Donna 34 a. […] Sono come chiusa dentro di me, non mi trovo più con gli altri, con i caratteri degli altri. Ritorno a casa mia e non sento niente, tutto è come se fosse vuoto, non c’è più atmosfera. Non ho più gusto per niente, niente mi da più gioia o dolore. La natura non ha più significato per me, non distinguo più neanche i colori. Qualche volta piango, ma è un pianto vuoto, che non mi da sfogo. Quando parlo è come se non dicessi nulla. Non mi sento più al mondo. Il passato lo penso ma non lo ricordo, non lo vivo…quando mangio è come se il cibo cadesse in una buca. Sono come tutta chiusa in me.

Se morisse mia madre, forse piangerei e sentirei dolore, ma senza affetto. Sono sensibile e non sensibile allo stesso tempo. Mi manca la sostanza della vita, un affetto, un bene, un dolore; per me è tutto invano, come se tutto fosse buio.

Mi sento come una nuvola. Quando torno a casa non sento niente, ma mi sento costretta a fare tante cose e mentre ne faccio una devo pensare ad un’altra…le cose vanno troppo lente per me… la mia solitudine mi rende troppo veloce il tempo, non ho il controllo dell’ora, non avverto mai il tempo.

Per me dieci minuti sono interminabili, vorrei che passassero molto in fretta, vorrei che fossero dieci minuti e non più…per me è tutto uguale, non penso né al passato né al presente, né al futuro… Mi senso vuota, la mia mente dovrebbe funzionare da sola, invece la sento vuoto […] (ivi)

Esempio maschile di deidazione

Uomo 22 a. […] Mi sembra che la vita sia una cosa strana, sono presente ad una cosa ad un avvenimento, ma mi sembra che non sia vero, che sia come un gioco. E’ questa pesantezza alla testa che non so spiegarmi. Sono io che sono diverso. Sul momento mi sembra vera una cosa, poi ho qualcosa in testa che mi ostacola, forse dipende dalla stanchezza. Questo cambiamento è avvenuto a poco a poco. Mi è cominciato prima nel sogno poi nella realtà. I sogni non mi sembravano più miei, erano estranei, poi a poco a poco questa sensazione si è estesa anche alla realtà…Tutta la realtà mi sembra estranea, non un aspetto particolare di essa. Ho anche sentito meno affetto per i miei genitori, per i miei amici. Ma non sento dispiacere per questo. […] (ivi)

Derealizzazione, quarta componente della depersonalizzazione

I vissuti di cambiamento e di estraneità, già presenti in qualità di comune denominatore di tutte le forme di depersonalizzazione, si estendono dalla persona del soggetto, ovvero dai suoi confini fisici alla realtà esterna ambientale, dando al vissuto generale una strana tonalità onirica, connotata da una sorta di angoscia per la perdita della familiarità dei luoghi e degli oggetti.

Si tratta di un’accentuazione dell’ottundimento affettivo già visto nella desanimazione, nella quale è il soggetto che si sente estraneo all’ambiente e agli altri, mentre nella derealizzazione l’estraneità si spazializza e invade il mondo esterno. Il clima potrebbe essere allucinatorio, con la deformazione delle percezioni e la perdita dei punti di répere della realtà.

Ciò che esclude un’allucinazione è la consapevolezza della inadeguatezza della propria percezione e il doloroso confronto con la realtà percepita in passato e oggi irriconoscibile e non familiare. Frequente la meraviglia di vedere le cose cambiate nelle dimensioni (micropsia o macropsia); alterate nella distanza (troppo lontane, troppo vicine). Caratteristica del fenomeno è che la deformazione riguarda gli aspetti visivi della realtà piuttosto che i confini del corpo, come avviene nella depersonalizzazione propriamente detta.

Esempi di derealizzazione

Donna 33 a. […] Spesso mi trovo a invidiare le madri che devono partorire, perché mi sembra che mia figlia non sia mia, la guardo e mi chiedo chi è, mi sembra a volte come una bambola, come se appartenesse ad un’altra. Anch’io mi sento strana, mutata. La realtà mi sembra diversa, non vedo più le cose come prima, mi sembrano irreali, evanescenti. A volte se guardo nello specchio è come se ci fossero due mondi, questo e l’altro, e non so quale è più reale […] (Callieri e Felici, cit.)

Donna 43 a. […] Andata a casa mi sembrava come se l’ambiente non fosse più il mio, come se fosse strano, come se i miei parenti fossero cambiati, diversi. Ho anche visto il sole come se fosse di un altro colore, gli alberi come se fossero diversi; sapevo che erano alberi, ma per me erano diversi.

Sapevo che non era vero, che ero io, ma è come se tutto fosse non più mio, come se anch’io fossi cambiata…non riuscivo neppure a spiegare ciò che provavo, non vedevo più bene. Per esempio, la Natura la vedevo in altra maniera. Come quando c’è l’eclissi lunare, con tanta angoscia…

Andata a casa mi sono sentita come se fossi estranea. Tutto il viavai di macchine mi dava fastidio. Piazza Venezia non mi sembrava più la stessa, come se tutto fosse nuovo; guardavo e vedevo che era piazza Venezia, ma mi sembrava nuova come se l’avessero costruita da poco. Ieri mi sentivo così estranea al mondo, vedevo tutto il mondo cambiato, rivolevo il mio mondo. […] (ivi)

Uomo 65 a. […] Mentre stavo entrando in bagno, all’improvviso ho visto le pareti cambiate, come se gli oggetti non fossero più allo stesso posto. Le cose mi sono sembrate diverse, i colori più scuri…

Uscito poi in strada non riuscivo più a sapere dove stavo, perché tutto era diverso: le case, le finestre, le macchine non mi erano più familiari, le sentivo come se appartenessero ad un’altra città a me sconosciuta. Vivevo tutto ciò senza ansia, solo con uno strano senso d’irrealtà. […] (ivi)

Testimonianza personale di Sigmund Freud (1936):

[…] Quando poi il pomeriggio dopo l’arrivo mi trovai sull’Acropoli e abbracciai con lo sguardo il paesaggio, mi venne improvvisamente il pensiero singolare: ‘Dunque tutto questo esiste veramente, proprio come l’abbiamo imparato a scuola?’ O, per descrivere la situazione con più esattezza, la persona che faceva questo commento si distingueva assai più nettamente del solito da un’altra persona, che prendeva nota di questo commento, ed entrambe erano meravigliate, anche se non della stessa cosa. La prima si comportava come se dovesse, sotto l’impressione di una osservazione indubitabile, credere a qualcosa la cui realtà le era apparsa dubbia fino a quel momento […] (Freud, 1936, p. 7357 ed. digitale kindle Bollati Boringhieri).

Al fine di far acquisire con maggiore chiarezza i concetti qui esposti, dando il tempo di riflettere su quanto scritto, abbiamo deciso di dividere il presente saggio sulla depersonalizzazione in due parti. Si conclude qui la prima parte.

Bibliografia

  • Arlow H. (1959) The structure of the Déjà-vu experience. Journal of the American Psychoan. Association, vol. VII, n. 4. 
  • Bouvet M. (1960) Dépersonnalisation et relations d’objet. In. Ouvres psychoan., Tome I, Payot, Paris, 1972.
  • Callieri B., Semerari A. (1953) Contributo psicopatologico e critico al concetto di depersonalizzazione. Rassegna di Studi Psichiatrici, vol. XLII, I.
  • Callieri B., Felici F. (1968) La depersonalizzazione. Riv. Sperimen. di Freniatria, vol. XCIII, suppl. fasc. II.
  • Capgras, J. & Reboul-Lachaux, J. (1923) Illusion des sosies dans un délire systématisé chronique. Bulletin de la Société Clinique de Médicine Mentale 2 6–16.
  • Deutsch H. (1942) Some forms of emotional disturbance and their relationship to schizophrenia. Psychoan.Quart. 11:301-21.
  • Dugas L., Moutier F. (1911) La dépersonnalisation. Paris, Alcan.
  • Federn P. (1953) Psicosi e psicologia dell’io. Trad. it. Boringhieri, Torino 1976.
  • Fornari F. (1960) Nuovi orientamenti nella psicoanalisi. Feltrinelli, Milano, 1979. 
  • Freud S. (1919) Il perturbante. OSF vol. 9, Bollati Boringhieri Kindle, 2023.
  • Freud S. (1936) Un disturbo della memoria sull’Acropoli etc. OSF vol. 11, Bollati Boringhieri Kindle, 2023.
  • Huber G. (1983) Das Konzept substratnaher Basissymptome und seine Bedeutung für Theorie und Therapie schizophrener Erkrankungen.  Nervenartz, 54:23-32.
  • Husserl E. (1931) Meditazioni cartesiane. Bompiani, Milano 1960.  
  • Kernberg O.F. (1975) Sindromi marginali e narcisismo patologico. Trad. it Boringhieri, Torino 1978.
Nota: Il contenuto del presente articolo non è inteso né raccomandato come sostituto di consigli, diagnosi o trattamenti medici. Pertanto è sempre necessario chiedere il parere di un medico in merito a qualsiasi domanda, condizione clinica, trattamento o argomento trattato nel presente documento. Doctorium non si assume nessuna responsabilità sull'utilizzo autonomo delle informazioni indicate.

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