Colangite biliare primitiva: verso la cura

19 Giugno 2022

Colangite biliare primitiva

La colangite biliare primitiva è una patologia autoimmune del fegato che colpisce in particolar modo le persone di sesso femminile. Questa non è altro che un disturbo cronico dei dotti biliari le cui cellule vengono erroneamente attaccate dal sistema immunitario determinando la loro distribuzione e cicatrizzazione. Una malattia però che può essere affrontata con nuovi standard di trattamento farmacologico: vediamo meglio come.  

Un nuovo paradigma di diagnosi e cura

Nelle patologie difficili da diagnosticare il numero di casi riportati all’interno delle statistiche può essere decisamente inferiore rispetto ai casi reali e la PBC è un caso, in tal senso, unico. Ad oggi, nel nostro Paese, vi sono circa 18.000 persone affette, equivalenti a un’incidenza di 5,3 casi per 100.000 abitanti all’anno. La prevalenza effettiva potrebbe quindi essere da 50 a 100 volte superiore. 

Ecco perché a Roma, per il PBC DAY, sono stati affrontati principalmente due temi: come far emergere tutto il sommerso della malattia e come offrire ai vari pazienti trattamenti adeguati e mirati. All’evento, organizzato grazie al contributo – non condizionante – dell’azienda farmaceutica Intercept, hanno partecipato i maggiori esperti mondiali della malattia, tra cui diversi italiani. Pare infatti che molti dei più grandi studiosi di PBC sono proprio nostri concittadini. 

Un intervento interessante e degno di nota è stato espresso da Vincenza Calvaruso professore associato di gastroenterologia dipartimento di Promozione della Salute, Materno infantile, Medicina interna e Specialistica di eccellenza G. D’Alessandro (PROMISE), di Palermo. Questa ha quindi spiegato che: “Una delle maggiori difficoltà legate a questa malattia risiede proprio nella diagnosi, poiché negli stadi iniziali i sintomi sono lievi o assenti e generalmente la patologia si presenta solo con manifestazioni di prurito, fatigue, secchezza della bocca e degli occhi”. Ha inoltre aggiunto che “[…] la maggior parte delle persone  scopre la malattia solo in seguito alla rilevazione degli anticorpi anti-mitocondriali (AMA) nel sangue: indici positivi di questo anticorpo e di colestasi possono confermare la diagnosi di PBC, senza necessità di ricorrere alla biopsia. Ecco perché l’individuazione di precisi percorsi diagnostico-terapeutici, la stratificazione del rischio di malattia e il riconoscimento di nuove strategie terapeutiche possono aiutare a identificare il sommerso e consentire una più efficiente presa in carico del paziente”.

Ovviamente a fare la differenza è l’approccio terapeutico. Senza di questo la PBC genera un ristagno cronico di bile nel fegato generando, a lungo termine, cirrosi epatica e danni d’organo irreversibili. Ma i passi avanti ci sono stati e li evidenzia Domenico Alvaro, direttore dell’UOC di Gastroenterologia presso l’Università La Sapienza di Roma: 

“Negli ultimi anni sono stati raggiunti importanti traguardi nella cura di questa malattia, poiché fino a poco tempo fa avevamo a disposizione una sola terapia rappresentata dall’acido ursodesossicolico che era in grado di curare circa il 50% dei pazienti. Il direttore ha poi aggiunto: “La ricerca ha fatto molti progressi nella gestione della PBC, sviluppando trattamenti di seconda linea, come l’acido obeticolico e altri farmaci ancora in fase di sperimentazione; ciò conferma l’interesse nei confronti di questa patologia soprattutto nella ricerca di soluzioni terapeutiche sempre più personalizzate. Con i trattamenti attualmente disponibili siamo in grado di limitare la progressione della malattia in oltre l’80% dei pazienti”.

Fonti: https://medicoepaziente.it/2022/colangite-biliare-primitiva-verso-un-nuovo-paradigma-di-diagnosi-e-cura/

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