Ho iniziato la mia carriera professionale come pediatra ospedaliero, pur essendo prima ancora specialista in allergologia. Ho conseguito, pochi anni dopo, la specializzazione anche in pediatria. Leggi di più... Ho acquisito molta esperienza, sia in campo pediatrico che neonatologico, dedicandomi fin dai primi anni della mia vita professionale alla cura delle malattie allergiche del bambino. Sono stato responsabile di Day Hospital e dell’Ambulatorio del Reparto pediatrico che si occupava dei problemi allergici, respiratori e cutanei dei bambini. Da circa 20 anni ho allargato il mio interesse verso le malattie allergiche anche dell’adulto, con grande soddisfazione professionale. Ho diretto per oltre 10 anni il centro di allergologia dell’ospedale Grassi di Ostia Lido. Ho fatto parte, in qualità di membro eletto, per 6 anni, del consiglio direttivo della Società di Allergologia e Immunologia Pediatrica; dal oltre 10 anni sono direttore del sito web della stessa società. Ricopro attualmente l’incarico di Responsabile regionale dell’AAIITO (Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri). Sono autore di molte pubblicazioni su riviste internazionali e italiane. Ho partecipato a progetti di ricerca di grande rilievo nel campo delle patologie allergiche. Ho conseguito titoli formativi anche presso l’Università di Siena (Master in Nutrizione Clinica), presso l’Università Luiss (Master in Management delle Aziende Sanitarie). Ho partecipato, e ancora partecipo, in qualità di tutor, docente e relatore a moltissimi eventi formativi, corsi e congressi nazionali. Infine, sono innamorato del mio lavoro, mi piace il contatto umano e sono particolarmente felice quando riesco a risolvere i problemi di salute delle persone che a me si rivolgono.
-> WebSite <-
Il Dott. Pingitore si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Firenze. Si è poi specializzato dapprima in Allergologia e Immunologia presso l’Università di Roma Sapienzae poi in Pediatria nel presso l’Università di Modena.
Ha poi conseguito diversi Master, tra cui il Master in Nutrizione clinica in età pediatrica, il Master su Appropriatezza e evidence based medicine: un approccio manageriale presso l’SDA Bocconi, il Master in Management delle Aziende Sanitarie presso la LUISS di Roma e il master in Citologia Nasale.
Dal 1979 al 2006 ha esercitato come Dirigente Medico pediatra di ruolo, è stato Membro del Direttivo Nazionale e Coordinatore Nazionale delle Commissioni Asma e rinocongiuntivite della SIAIP. E’ attualmente Responsabile Regionale dell’AAIITO (Associazione Allergologi e Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri). E’ stato dirigente Responsabile della UOS Day Hospital e, successivamente, Responsabile dell’Ambulatorio di Allergologia dell’ospedale “G.B. Grassi” e di un Presidio Sanitario Territoriale (ASL Roma D).
E’ inoltre, da 9 anni, Direttore del sito web della SIAIP. E’ autore di numerose pubblicazioni su argomenti di allergologia e pediatria.
Attualmente svolge attività libero professionale presso i suoi studi di Roma, dove effettua le seguenti prestazioni: visita allergologica, visita pediatrica, prick test per inalanti e alimenti, diagnostica delle orticarie, patch test (dermatiti da contatto), test per anestetici locali, test per le orticarie fisiche, breath test, immunizzazione per allergia e citologia nasale.
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Il Dott. Pingitore si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Firenze. Si è poi specializzato dapprima in Allergologia e Immunologia presso l’Università di Roma Sapienzae poi in Pediatria nel presso l’Università di Modena.
Ha poi conseguito diversi Master, tra cui il Master in Nutrizione clinica in età pediatrica, il Master su Appropriatezza e evidence based medicine: un approccio manageriale presso l’SDA Bocconi, il Master in Management delle Aziende Sanitarie presso la LUISS di Roma e il master in Citologia Nasale.
Dal 1979 al 2006 ha esercitato come Dirigente Medico pediatra di ruolo, è stato Membro del Direttivo Nazionale e Coordinatore Nazionale delle Commissioni Asma e rinocongiuntivite della SIAIP. E’ attualmente Responsabile Regionale dell’AAIITO (Associazione Allergologi e Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri). E’ stato dirigente Responsabile della UOS Day Hospital e, successivamente, Responsabile dell’Ambulatorio di Allergologia dell’ospedale “G.B. Grassi” e di un Presidio Sanitario Territoriale (ASL Roma D).
E’ inoltre, da 9 anni, Direttore del sito web della SIAIP. E’ autore di numerose pubblicazioni su argomenti di allergologia e pediatria.
Attualmente svolge attività libero professionale presso i suoi studi di Roma, dove effettua le seguenti prestazioni: visita allergologica, visita pediatrica, prick test per inalanti e alimenti, diagnostica delle orticarie, patch test (dermatiti da contatto), test per anestetici locali, test per le orticarie fisiche, breath test, immunizzazione per allergia e citologia nasale.
Ho iniziato la mia carriera professionale come pediatra ospedaliero, pur essendo prima ancora specialista in allergologia. Ho conseguito, pochi anni dopo, la specializzazione anche in pediatria. Leggi di più... Ho acquisito molta esperienza, sia in campo pediatrico che neonatologico, dedicandomi fin dai primi anni della mia vita professionale alla cura delle malattie allergiche del bambino. Sono stato responsabile di Day Hospital e dell’Ambulatorio del Reparto pediatrico che si occupava dei problemi allergici, respiratori e cutanei dei bambini. Da circa 20 anni ho allargato il mio interesse verso le malattie allergiche anche dell’adulto, con grande soddisfazione professionale. Ho diretto per oltre 10 anni il centro di allergologia dell’ospedale Grassi di Ostia Lido. Ho fatto parte, in qualità di membro eletto, per 6 anni, del consiglio direttivo della Società di Allergologia e Immunologia Pediatrica; dal oltre 10 anni sono direttore del sito web della stessa società. Ricopro attualmente l’incarico di Responsabile regionale dell’AAIITO (Associazione Allergologi Immunologi Italiani Territoriali e Ospedalieri). Sono autore di molte pubblicazioni su riviste internazionali e italiane. Ho partecipato a progetti di ricerca di grande rilievo nel campo delle patologie allergiche. Ho conseguito titoli formativi anche presso l’Università di Siena (Master in Nutrizione Clinica), presso l’Università Luiss (Master in Management delle Aziende Sanitarie). Ho partecipato, e ancora partecipo, in qualità di tutor, docente e relatore a moltissimi eventi formativi, corsi e congressi nazionali. Infine, sono innamorato del mio lavoro, mi piace il contatto umano e sono particolarmente felice quando riesco a risolvere i problemi di salute delle persone che a me si rivolgono.
Dott. Giuseppe Pingitore
Negli ultimi due decenni, l’interesse scientifico per la vitamina D è progressivamente aumentato.
A parte il ben noto ruolo di questa vitamina nel metabolismo osseo e del calcio, recenti osservazioni hanno suggerito il suo possibile ruolo come cardine immunomodulatore anche nelle malattie allergiche, tra cui l’asma, e questo aspetto potrebbe assumere una particolare rilevanza in ambito pediatrico. Leggi di più...
Diversi studi hanno sottolineato che la vitamina D gioca un ruolo importante nella regolazione generale del sistema immunitario, in particolare per quanto riguarda la funzione dei linfociti, la segnalazione e l’attivazione del recettore dell’antigene delle cellule T, la produzione di citochine. Sulla base di queste osservazioni, i livelli di vitamina D sono importanti per l’incidenza, la gravità e il decorso dell’ asma e delle malattie allergiche. Gioca quindi un ruolo importante nella prevenzione.
È anche vero che alcuni studi hanno suggerito che alti livelli sierici di vitamina D possono aumentare il rischio di disturbi allergici. Il colecalciferolo e i suoi metaboliti sono più propriamente ormoni che possono essere sintetizzati dall’organismo. Le radiazioni ultraviolette determinano la conversione fotochimica nella pelle del 7-deidrocolesterolo in colecalciferolo (vitamina D3). Successivamente, nel fegato, enzimi mitocondriali e microsomiali simili al citocromo P450 determinano la sua idrossilazione in posizione 25 per ottenere il 25-idrossi-colecalciferolo (calcidiolo), che solitamente viene denominato e dosato come Vitamina D in quanto rappresenta la più abbondante forma circolante con una lunga emivita. Approssimativamente l’88% della vitamina D circola legata a specifiche proteine leganti, o legata ad albumine, mentre solo lo 0,03% è libero.
La seconda idrossilazione, necessaria per avere un ormone attivo, si verifica nel rene dove la vitamina D viene convertita nella forma attiva (1–25 idrossivd, calcitriolo).
Fino a poco tempo fa si sosteneva che la conversione della vitamina D nel suo metabolita attivo potesse avvenire esclusivamente nel rene. Le ultime scoperte hanno dimostrato che altre cellule in diversi organi esprimono recettori per la vitamina D. Esempi sono i linfociti T e B, monociti, cellule presentanti l’antigene (APC) compresi i macrofagi e le cellule dendritiche. La vitamina D pertanto esercita i suoi effetti sul sistema immunitario, aumentando soprattutto l’espressione delle catelicidine hCAP18, importante fattore di difesa contro i patogeni delle vie respiratorie.
Le catelicidine prodotte dai neutrofili e dagli epiteli, dopo un segnale mediato dalle citochine infiammatorie, sembrerebbero determinare la chemiotassi delle cellule dell’immunità innata attivando una risposta infiammatoria contro diversi microrganismi. Inoltre, la vitamina D può stimolare la produzione di peptidi cationici, beta-defensina 2 e 4.
I presunti effetti antiallergici della vitamina D possono essere in parte riconducibili all’azione sulle cellule dendritiche, favorendo la produzione di IL-10 e riducendo la produzione di IL-12. Un livello sierico di VD ≥ 50 nmol / L è considerato sufficiente, valori <50 nmol / L insufficienti e <40 nmol / L possibilmente a rischio di malattia. Per garantire un adeguato apporto di vitamina D l’American Academy of Pediatry ha aumentato l’assunzione giornaliera raccomandata per bambini e adolescenti ad una dose di 400 UI fino a 12 mesi di età e 400-600 oltre 12 mesi raccomandando che questa integrazione inizi durante i primi giorni di vita.
Per quanto riguarda le malattie allergiche gli studi disponibili hanno fornito risultati contrastanti. Certamente oltre ai livelli sierici di vitamina D altri fattori come l’ambiente e la genetica possono svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo di allergie e asma. A tal proposito un aspetto interessante riguarda la latitudine: le alte latitudini (valutate in considerazione della residenza al momento della nascita e del colloquio), che sono caratterizzate da una minore irradiazione ultravioletta, possono essere associate ad una minore frequenza di allergia, mentre una una maggiore esposizione ai raggi ultravioletti (latitudini inferiori) era associata a una maggiore probabilità di avere una storia di rinite allergica o asma o entrambe le condizioni durante l’infanzia.
Naturalmente, questi rappresentano solo uno studio trasversale e non forniscono una prova diretta che l’esposizione al sole sia correlata ai livelli di vitamina D e all’allergia.
Gli studi effettuati sulla vitamina D in pazienti con malattie immuno-mediate non sono stati completamente esaustivi. Il ruolo della vitamina D nell’omeostasi e nella regolazione del sistema immunitario nelle malattie deve ancora essere esplorato.
Ci sono pochi studi relativi alla rinite allergica. Uno studio australiano ha cercato di valutare, parallelamente, la possibile associazione tra irradiazione ultravioletta e vitamina D, in relazione alla rinite allergica, all’asma o ad entrambe le condizioni. Le conclusioni hanno dimostrato che l’associazione inversa tra latitudine e asma non dipende dall’ultravioletto ma è attribuibile ad altri fattori climatici come la temperatura.
Si è visto inoltre che l’integrazione con olio di fegato di merluzzo prima dei 15 anni di età si associa ad una maggiore probabilità di avere l’asma e la rinite allergica. Un altro studio condotto in Norvegia ha mostrato un’associazione diretta tra deficit di vitamina D e sesso maschile per lo sviluppo della rinite allergica, mentre le femmine sono risultate protette. La ricerca fornisce un razionale per la valutazione del possibile ruolo centrale della supplementazione precoce di vitamina D per lo sviluppo di allergie nell’infanzia.
Per quanto riguarda la relazione tra vitamina D e respiro sibilante si è visto che un deficit prenatale di vitamina D predispone sia al respiro sibilante che al conseguente asma, influenzando negativamente lo sviluppo del polmone e del sistema immunitario fetale. Un’adeguata assunzione di vitamina D durante la gravidanza sembrerebbe esercitare un’azione protettiva sull’insorgenza di sibili e asma infantili soprattutto nella prole maschile. Ciò sembra essere dovuto all’azione sinergica della vitamina D con il 17-beta-estradiolo. I bambini nati da madri con deficit di vitamina D durante la gravidanza sono predisposti ad un aumentato rischio di sibili ricorrenti a 3 anni di età.
L’assunzione aggiuntiva di 100 UI di vitamina D nel primo e nel secondo trimestre di gravidanza è associata a un minor rischio di asma e respiro sibilante durante l’infanzia. La possibile influenza delle proteine leganti la vitamina D associate al genotipo rende ancora più complesso il legame tra asma e vitamina D.
L’asma, nel suo fenotipo allergico, è classicamente determinato da una maggiore attività delle cellule TH2 con conseguente produzione di IgE e citochine infiammatorie che causano iperreattività delle vie aeree con un’infiammazione prevalentemente eosinofila.
Negli ultimi anni, molti studi hanno focalizzato il possibile ruolo protettivo della vitamina D contro l’asma bronchiale. Tuttavia, in uno studio spagnolo si è visto che la vitamina D materna più elevata a 12 settimane di gestazione non era associata a respiro sibilante a 1 anno o 4 anni o asma a 4-6 anni. Inoltre, un recente studio del Regno Unito non ha trovato alcuna associazione tra vitamina D nella dieta e respiro sibilante, asma o sensibilizzazione. Utilizzando il sangue materno o del cordone ombelicale come biomarcatore per l’esposizione fetale alla vitamina D è stata trovata un’associazione inversa con il rischio di sviluppare malattie respiratorie e allergiche.
Lo studio condotto da Gupta et al. ha mostrato una relazione inversa tra concentrazione sierica di vitamina D e gravità degli attacchi di asma, numero di esacerbazioni e consumo di corticosteroidi inalatori (ICS); lo stesso studio ha anche mostrato come livelli ottimali di vitamina D fossero associati ad un buon controllo della malattia.
Lo studi effettuato da Searing et al. Ha evidenziato che i bambini con asma avevano livelli sierici complessivamente insufficienti di vitamina D, con una correlazione inversa tra vitamina D, IgE totali, positività ai test cutanei (SPT) e un’associazione diretta con un maggiore utilizzo di corticosteroidi. Da un punto di vista funzionale è stato anche dimostrato che uno stato di carenza comporta la riduzione del volume espiratorio forzato nel 1 ° secondo (FEV1) in pazienti con asma da lieve a moderato.
La vitamina D modulerebbe anche vari effetti indotti dalle citochine attraverso diverse cellule del sistema immunitario con un’azione dose-dipendente. Dosi ragionevoli di vitamina D inibiscono la produzione di citochine sia TH1 che TH2, mentre alte concentrazioni sembrano addirittura amplificare le risposte TH2. Inoltre la vitamina D in associazione con i glucocorticoidi può aumentare direttamente o indirettamente la produzione di citochine antinfiammatorie come IL 10. Per quanto riguarda il rimodellamento delle vie aeree nell’asma, alcuni studi hanno dimostrato che la vitamina D può influenzare il rimodellamento attraverso un effetto diretto sulla proliferazione delle cellule muscolari lisce delle vie aeree influenzandone anche la crescita e la contrattilità.
I meccanismi molecolari della resistenza ai glucocorticoidi nei bambini sono probabilmente diversi e non ancora chiaramente definiti. Una resistenza congenita agli steroidi derivante da qualsiasi mutazione genetica dei recettori è rara. Al contrario la resistenza acquisita è più comune e spesso può essere superata aumentando la dose però ciò incrementa anche il rischio di effetti collaterali. Esistono diversi meccanismi che probabilmente sono alla base della resistenza alla terapia steroidea e sono stati studiati principalmente in soggetti adulti.
Il meccanismo fisiopatologico alla base delle risposte allergiche comporta la partecipazione iniziale dell’immunità innata APC con conseguente attivazione della risposta dei linfociti TH2. I linfociti T regolatori, attraverso la produzione di citochine come IL-10 e TGF-beta, modulano negativamente l’attivazione di questa risposta immunitaria che contribuiscono all’infiammazione e all’iperreattività delle vie aeree. Una riduzione funzionale dell’attività dei linfociti T regolatori è stata associata anche alla resistenza alla terapia con glucocorticoidi.
Più recentemente, diversi Autori hanno sottolineato che la vitamina D può essere coinvolta nell’aumento del reclutamento dei linfociti T regolatori. In condizioni di deficit di vitamina D i linfociti T regolatori erano ridotti non solo in numero ma anche in termini di funzionalità ed efficacia complessive. Un piccolo studio pilota ha anche suggerito che l’assunzione di vitamina D nelle persone con asma aumenterebbe la risposta alla terapia con desametasone. Si potrebbe quindi presumere che la vitamina D possa potenzialmente aumentare la risposta terapeutica ai glucocorticoidi in quei soggetti che mostrano resistenza agli steroidi.
Lo studio di Sutherland et al. ha mostrato un’associazione tra bassi livelli di vitamina D e ridotta funzionalità polmonare, aumento dell’iperreattività delle vie aeree e riduzione della risposta ai glucocorticoidi in un gruppo di pazienti con asma da moderata a grave.
La vitamina D può anche modulare a livello genomico la trascrizione di geni per proteine con attività infiammatoria. Un altro meccanismo potenzialmente coinvolto nella resistenza agli steroidi è la capacità della vitamina D di regolare l’espressione dei geni coinvolti nei fenomeni infiammatori in relazione alla regolazione dei recettori glucocorticoidi stessi. In vitro, le concentrazioni fisiologiche di vitamina D aggiunte al desametasone aumentano significativamente l’espressione delle proteine MPK-1 nelle cellule mononucleate del sangue periferico rispetto al solo desametasone, suggerendo che l’aggiunta di vitamina D potrebbe ridurre la dose efficace di desametasone richiesta.
Quindi è importante sottolineare che un trattamento con vitamina D in un paziente asmatico può non solo portare a un significativo miglioramento dei sintomi clinici, ma anche a una riduzione graduale della dose di steroidi evitando così i ben noti effetti collaterali.
È noto che le infezioni virali delle vie respiratorie portano ad un aumento delle esacerbazioni dell’asma sia nei bambini che negli adulti. Le infezioni da Rhinovirus, ad esempio, inducono uno stato infiammatorio nelle vie aeree che non solo va ad aumentare la gravità dell’esacerbazione dell’asma ma portano anche ad infezioni che hanno una gravità maggiore rispetto ai pazienti non asmatici.
Nuove evidenze hanno mostrato che i soggetti che hanno livelli inadeguati di vitamina D sviluppano un numero più elevato di infezioni respiratorie all’anno e che queste possono insorgere con maggiore gravità.
Uno studio prospettico di coorte ha misurato le diverse concentrazioni di vitamina D in 198 soggetti adulti. Si è visto che gli individui con concentrazioni di VD inferiori a 38 ng / mL avevano un rischio di infezioni virali delle vie respiratorie doppiamente aumentato.
Lo studio di coorte EDEN ha evidenziato che uno stato di carenza di VD rende più inclini alle esacerbazioni dei bambini asmatici rispetto agli adulti. Secondo questi dati è chiaro quanto sia importante un’identificazione precoce dello stato di carenza di vitamina D, e anche una pronta impostazione di un’integrazione adeguata per prevenire diverse malattie sia negli adulti che nei bambini.
Sebbene il ruolo extra-scheletrico della vitamina D non debba essere sottovalutato, in questo momento mancano dati coerenti sul tema della vitamina D nello sviluppo / prevenzione delle allergie alimentari. Un recente studio trasversale su più di 500 neonati con provata allergia alimentare ha mostrato che esiste una relazione diretta tra la carenza della vitamina D e le allergie alimentari anche se non sono stati studiati parametri immunologici più dettagliati (ad es. Immunoglobuline alimentari specifiche). Un altro studio ha evidenziato che alti livelli di vitamina D in gravidanza e alla nascita possono contribuire a un rischio più elevato di allergia alimentare.
Un altro studio di coorte su 650 neonati non è stato in grado di rilevare una relazione epidemiologica tra carenza di vitamina D e rischio di allergia alimentare sebbene sia stata osservata un’associazione con caratteristiche genetiche specifiche. Considerando la grande quantità di dati in letteratura che relazionano i livelli di vitamina D con le malattie atopiche è importante effettuare una valutazione dei livelli sierici di vitamina D e considerare la sua possibile integrazione.
Alcuni studi hanno evidenziato una relazione inversa tra la prevalenza e / o la gravità della dermatite atopica e i livelli di VD. Inoltre altri studi hanno dimostrato che in soggetti con dermatite e deficit di vitamina D, una sua integrazione riduce la gravità della malattia. Tuttavia questa correlazione è stata riscontrata solo in pazienti con sensibilizzazione allergica e altri studi non hanno riscontrato una correlazione inversa tra deficit di vitamina D ed eczema atopico.
Inoltre un recente studio controllato non ha riscontrato alcun effetto visibile della supplementazione di vitamina D sulla gravità clinica della malattia. Sottolineamo che la catelicidina, una proteina innata antimicrobica, è attualmente considerata un possibile biomarcatore che collega la vitamina D con la regolazione immunitaria innata nella dermatite atopica.
Sembrerebbe esistere un interessante rapporto tra latitudine ed episodi di anafilassi come riportato nei registri dei pronto soccorso e le vendite di epinefrina autoiniettabile. Nel suo studio Mullins ha mostrato che entrambi i parametri erano più alti nelle regioni meridionali dell’Australia. Tuttavia, una relazione chiara e diretta tra vitamina D e anafilassi non è stata finora dimostrata.
Non è ancora possibile confermare o smentire il ruolo diretto della vitamina D nello sviluppo / peggioramento di malattie allergiche in età pediatrica e nei neonati, né assegnare un ruolo rilevante all’uso della vitamina D in un contesto di terapia immunologica. Ci sono molte variabili confondenti e ancora non identificate nei vari studi.
Esiste una schiacciante evidenza sperimentale che la vitamina D agisca sulla funzione delle cellule immunitarie, ma non può essere applicata alla popolazione generale e non possono essere emesse linee guida nutrizionali specifiche nel contesto dell’allergia. Inoltre, non è ancora possibile raccomandare una strategia assoluta per l’uso della vitamina D nella terapia dell’asma e delle malattie allergiche, o nella prevenzione. Sono necessari studi clinici e studi prospettici basati sulla popolazione, al fine di comprendere meglio il meccanismo molecolare mediante il quale la vitamina D possa influenzare i disturbi immunologici e il loro sviluppo.
La vitamina D gioca un ruolo chiave nel metabolismo del calcio e del fosforo ed è essenziale per la salute delle ossa nei neonati, nei bambini e negli adolescenti; tuttavia, fino ad ora non ci sono prove sufficienti per supportare la supplementazione di vitamina D per ottenere altri benefici. In conclusione, i pediatri dovrebbero prestare maggiore attenzione ai livelli di vitamina D nei bambini allergici e nei loro genitori per una migliore gestione della malattia.
Fonte: www.ncbi.nlm.nih.gov
Dott. Giuseppe Pingitore
La dieta mediterranea è un modello alimentare basato sugli alimenti e bevande tipiche dei Paesi che circondano il bacino del Mediterraneo. Non si tratta solo di una dieta, piuttosto di uno stile di vita, che include oltre al cibo anche l’attività fisica, il consumare con amici e familiari i pasti e vino in quantità moderata. Fin dagli anni ’40 è stata studiata e, sulla base di studi scientifici, viene considerata una delle più salutari del mondo. Leggi di più...
Esistono prove abbondanti e crescenti che dimostrano che la tradizionale dieta mediterranea è probabilmente il modello dietetico ideale per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Il seguente articolo mostra come nel corso degli ultimi 20 anni si stiano accumulando evidenze di un effetto vantaggioso anche ai fini della prevenzione dell’asma e delle malattie allergiche.
La parola “dieta” viene dal greco δìαιτα (dìaita) e significa «modo di vivere». Tra le motivazioni con le quali il Comitato Intergovernativo dell’UNESCO, il 16 novembre 2010, ha iscritto ufficialmente la “dieta mediterranea” nell’elenco dei patrimoni culturali immateriali, si legge “La Dieta Mediterranea è un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, tra cui la coltivazione, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo di cibo.
È caratterizzata da un modello nutrizionale che è rimasto costante nel tempo e nello spazio, i cui ingredienti principali sono olio di oliva, cereali, frutta e verdura, fresche o secche, un ammontare moderato di pesce, prodotti lattiero-caseari e carne, numerosi condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusioni, sempre nel rispetto delle convinzioni di ogni comunità”. Molto di più, quindi, di un semplice elenco di cibi da consumare, come è bene illustrato nelle piramidi alimentari.
Le piramidi alimentari sono un modo per rappresentare graficamente e in modo semplice le frequenze di assunzione di gruppi di alimenti. Alla base della piramide il suggerimento di svolgere un’attività fisica quotidiana, anche se limitata. Poi ci sono gli alimenti da assumere tutti i giorni. Seguono, salendo verso l’alto, quelli da consumare meno frequentemente, 1-3 volte a settimana, e all’apice quelli da consumare soltanto 1-2 volte al mese.
Le piramidi alimentari più rappresentative della Dieta Mediterranea sono quella americana elaborata da Walter Willett, medico della Harvad School of Public Health in collaborazione con
Oldways e quella greca influenzata dalla leadership di Antonia Trichopoulou e del marito Dimitrios, rispettivamente professore ad Atene e professore di epidemiologia ad Harvard.
Giacomo Castelvetro (1546-1616) fu un umanista modenese, scrittore di viaggi ed insegnante. Convertitosi al protestantesimo si rifugiò in Inghilterra per sfuggire all’inquisizione. Durante la sua permanenza nel Kent notò che la dieta anglosassone era troppo ricca di carne e povera di frutta e verdure e che “gl’Italiani mangino più erbaggi e frutti che carne”: e qui compose e ricompose a più riprese un Breve racconto di tutte le radici, di tutte l’’erbe e di tutti i frutti, che crudi o cotti in Italia si mangiano (1614).
Sempre ad un italiano, il medico nutrizionista genovese Lorenzo Piroddi (1911-1999), si deve la prima elaborazione della “dieta mediterranea”. Nel 1939 ipotizzò una connessione tra abitudini alimentari e malattie del ricambio e propose una dieta che limitava il consumo di grassi animali a favore di quelli vegetali (Sapore di sole – Dieta Mediterranea).
Tuttavia il vero padre della dieta mediterranea, così come oggi la conosciamo, è un biologo, epidemiologo e nutrizionista americano, Ancel Benjamin Keys (1904-2004).
Verso la fine degli anni ’30, presso l’Università del Minnesota, conduceva studi sull’inedia e la nutrizione e collaborava con l’esercito americano (sua è l’invenzione della razione K, che costituì la base per l’alimentazione di sussistenza dell’esercito USA e, in seguito, di eserciti di molte altre nazioni). Negli anni ’40, al seguito delle truppe alleate, si trovava a Creta. Egli notò che l’incidenza delle malattie cardiovascolari in quell’isola era notevolmente inferiore a quella degli USA.
Nel 1944, sbarcato a Paestum al seguito della quinta armata, rimase colpito dalle abitudini alimentari della popolazione del Cilento. Dopo la guerra si trasferì con la famiglia a Pioppi, una piccola località in provincia di Salerno, dove visse per 40 anni, rientrando negli Stati Uniti solo pochi mesi prima della sua morte. Nel 1960 avviò un ampio studio di popolazione, Seven Country Study (1), che coinvolse 16 coorti di Paesi dell’area mediterranea e non, e col quale dimostrò, per la prima volta, un più basso tasso di mortalità nei Paesi Mediterranei, soprattutto a Creta; l’importanza di questa ricerca gli valse la copertina del Time nel gennaio del 1961.
La dottoressa Leda Chatzi, epidemiologa e nutrizionista dell’Università di Heraklion (Creta), ha coordinato una ricerca multicentrica che ha coinvolto 1771 coppie madre-neonato in Spagna e 745 in Grecia, al fine di stabilire l’esistenza di un’associazione tra l’aderenza alla dieta mediterranea (DM) durante la gravidanza e il rischio di comparsa di respiro sibilante ed eczema nel primo anno di vita (2). Le informazioni sulla dieta delle gestanti venivano raccolte utilizzando dei questionari validati (FFQ=Food Frequency Questionaire, MD=Mediterranean Diet adherence), mentre per i dati sui sintomi i ricercatori si sono serviti del questionario standardizzato ISAAC (International Study of Asthma and Allergies in Childhood).
Lo studio ha evidenziato un’associazione tra aumento del rischio di wheezing ed eczema nel primo anno di vita e elevato consumo di carni rosse in gravidanza (RR=1.22). Qualche anno prima lo stesso gruppo di studiosi aveva condotto un’indagine su 507 donne in gravidanza e 460 bambini (3). L’aderenza alla dieta mediterranea fu valutata con un sistema di scoring, sia per le gestanti che per i bambini. Il follow up fu di ben 6 anni e mezzo. La valutazione dei sintomi tramite questionario evidenziò un chiaro effetto protettivo della buona aderenza ad una alimentazione di tipo mediterraneo, sia sul wheezing persistente (OR 0.22) che sul respiro sibilante di origine allergica (OR 0.30).
Uno studio di popolazione su 1200 coppie madre/bambino, con metodologia simile, è stato condotto a Los Angeles. La ricerca mirava a valutare soprattutto gli effetti postnatali della dieta stile “fast food” sul rischio di asma. I risultati, di grande interesse, hanno evidenziato un aumento del rischio relativo, che aumentava in maniera direttamente proporzionale da 1,2 fino a oltre 7 volte, in base al numero di pasti fast food settimanali consumati dalle gestanti, per tutti gli out come considerati (4). Passando all’analisi di singoli componenti della dieta mediterranea, circa dieci anni fa dimostrammo, con uno studio retrospettivo (5) che aveva arruolato 295 figli di madri allergiche e 693 figli di madri non allergiche e mediante la raccolta di informazioni sulle diete materne durante la gravidanza, che il consumo frequente di pesce (2-3 volte/settimana o più), riduceva il rischio di sensibilizzazione allergica di oltre 3 volte (aOR=0.23).
Uno dei capisaldi della dieta mediterranea è l’olio d’oliva. Allo scopo di verificare se i figli delle gestanti che consumavano olio d’oliva per cucinare e condire le insalate avrebbero avuto meno respiro sibilante nel corso del primo anno di vita, Castro Rodriguez ha arruolato 1409 bambini sani di età compresa tra 16 e 62 mesi e ha raccolto informazioni sulle diete seguite dalle madri durante le gravidanze (6). Ad un’analisi multivariata dei fattori associati al wheezing del primo anno di vita, il consumo di olio d’oliva correlava con una riduzione del rischio di circa la metà (OR 0.57).
Non meno importante è l’assunzione di frutta e verdura. Dati a supporto di ciò provengono da una coorte finlandese: Finnish Type 1 Diabetes Prediction and Prevention (DIPP) Nutrition Study. Vennero arruolati alla nascita 2441 bambini e seguiti fino all’età di 5 anni. Tramite questionario vennero raccolte le informazioni sulla dieta delle gestanti. Lo studio dimostrò che lo scarso consumo di vegetali a foglia larga (OR 1.55), di frutta melacea (OR 1.45) e di cioccolata (OR 1.33) era positivamente associato al rischio di respiro sibilante nella prole (7).
Lo studio PANACEA (Physical Activity, Nutrition and Allergies in Children Examined in Athens, 2005-2006) ha arruolato 700 studenti greci di età compresa tra 10 e 12 anni e, tramite una serie di questionari, ha raccolto informazioni su abitudini alimentari, in particolare la frequenza di assunzione di oltre 60 tra cibi e bevande, attività fisica, sintomi e aderenza alla dieta mediterranea (KidMedindex, punteggio 0-3, 4-7 e 8-12, rispettivamente per cattiva, moderata e buona aderenza). Lo scopo era quello di capire quanto il tipo di dieta potesse influire sui sintomi asmatici.
Gli autori hanno evidenziato una forte relazione inversa tra il livello di aderenza alla dieta mediterranea e la prevalenza dei sintomi dell’asma (8). Una revisione sistematica di 46 studi retrospettivi ha confrontato l’influenza di differenti regimi dietetici sui biomarkers infiammatori (PCR). L’elevato consumo di carne o un regime dietetico “western style” risultavano positivamente associati agli indici infiammatori, il contrario avveniva per regimi dietetici basati su frutta e vegetali (9).
Uno studio osservazionale, realizzato a Creta, ha coinvolto 690 bambini (7-18 anni). Mediante questionari sono stati raccolti i dati sul tipo di dieta (Food Frequency e Mediterranean diet score) e sui sintomi di rinite e asma: l’elevato consumo di uva, arance, mele e pomodori si è dimostrato protettivo sulla prevalenza sia dei sintomi della rinite che dell’asma.
Il rischio di presentare wheezing era ridotto (OR 0.46) se la dieta era ricca di frutta a guscio, molto aumentato (OR 2.19) per le diete ricche di margarina (10). Per valutare l’influenza della dieta mediterranea sull’asma in età pediatrica è stata realizzata recentemente (11) una revisione sistematica con meta-analisi. Sebbene siano stati inclusi solo 8 studi il numero dei pazienti è risultato davvero molto alto (40 mila) a causa dell’elevata numerosità di 2 degli studi. L’analisi per sottogruppi ha mostrato un dato di particolare interesse: l’effetto protettivo della dieta risulta significativo per i Paesi dell’area mediterranea, mentre perde di significatività per i Paesi non mediterranei. Gli autori non danno una spiegazione di questo risultato ma affermano che potrebbe dipendere da una diversa formulazione della diagnosi di asma. Sempre nello stesso anno viene pubblicata in Iran un’altra meta-analisi.
Gli autori effettuano una ricerca degli studi pubblicati tra il 1990 e il 2013 e includono 42 lavori (12 studi di coorte, 4 studi di popolazione caso-controllo e 26 studi osservazionali). Sia per quanto riguarda il rischio di wheezing (OR 0.76) che per quello di asma (OR 0.54) la meta-analisi mostra un chiaro effetto protettivo dell’elevata assunzione di frutta e vegetali (12). L’effetto protettivo di frutta e vegetali è dovuto all’alto contenuto in antiossidanti (13). In particolare:
Sebbene la maggior parte di questo tipo di studi sia stata realizzata nei Paesi dell’area mediterranea, esistono anche dati provenienti da oltre oceano. Qualche anno fa in Messico è stato analizzato un campione di 1476 bambini di 6-7 anni (14), con una metodologia analoga agli altri studi citati in precedenza: questionari sulla dieta degli ultimi 12 mesi e durante la gravidanza, questionario ISAAC per i sintomi di asma e rinite. Anche in questa popolazione messicana l’aderenza a schemi dietetici di tipo mediterraneo si associa in maniera inversa alla presenza di sintomi asmatici (OR 0.60) e rinitici (OR 0.41).
Per chiudere l’analisi delle evidenze esistenti su questo argomento è opportuno citare le conclusioni della task force “Lifestyle and asthma” della EAACI che nel 2016 ha pubblicato un lavoro di supervisione delle revisioni sistematiche (15): l’aderenza alla dieta mediterranea è correlata ad un minore rischio di respiro sibilante. I meccanismi non sono del tutto noti ma alcuni studiosi ipotizzano un duplice e differente effetto: la dieta materna di tipo mediterraneo, che comporta una maggiore assunzione di vitamina D, vitamina E, acidi grassi poliinsaturi, probiotici e sostanze antiossidanti, attraverso un’azione enzimatica di modifica epigenetica, potrebbe avere un effetto soppressivo sulle reazioni immunologiche T helper di tipo 2 (Th2).
Al contrario, la dieta del bambino, incluso l’allattamento al seno per almeno 4 mesi, l’introduzione precoce tra il 4 e il 6 mese di alimenti complementari, l’assunzione dei componenti della dieta mediterranea, antiossidanti, prebiotici e vitamine, stimolerebbe la risposta T helper di tipo 1 (Th1), attraverso l’intervento di citochine “regolatorie” (Tr1), con aumento della IL-10 e del transforming growth factor beta (TGFb) (16).
Bibliografia
Fonte: Notiziario Allergologico
Dott. Giuseppe Pingitore
Il termine “marcia allergica” è utilizzato per descrivere la tipica progressione delle manifestazioni cliniche del paziente allergico.
La malattia allergica subisce cambiamenti dinamici nel tempo e, nelle varie età della vita, alcune nuove manifestazioni compaiono e altre diminuiscono fino a sparire. Il più delle volte, anche se non sempre, esordisce nei primi anni di vita con allergia verso gli alimenti e/o dermatite atopica; negli anni successivi si assiste frequentemente ad una spontanea guarigione di queste manifestazioni e al contestuale sviluppo di nuove patologie, quali asma bronchiale e rinite allergica. Leggi di più...
La dermatite atopica è generalmente la prima manifestazione dell’allergia; l’epoca maggiormente interessata è compresa fra il terzo mese e il terzo anno di vita. La rinite allergica, soprattutto stagionale, è molto rara nei primi due anni di vita. Il respiro sibilante di tipo asmatico, al contrario, è piuttosto frequente nei primi mesi.
Nei 2/3 dei casi, tuttavia, è transitorio e si risolve spontaneamente entro i primi 5-6 anni. La precoce sensibilizzazione verso allergeni inalanti, acari della polvere in particolare, e l’esistenza di una familiarità positiva per atopia nei familiari di primo grado, aumentano la probabilità della persistenza del respiro sibilante e del successivo sviluppo dell’asma.
Nei bambini affetti da dermatite atopica è presente un deficit della funzione di barriera, che la cute normalmente esercita, dovuto prevalentemente a fattori genetici; ciò comporta sia un’aumentata perdita di acqua, con la conseguente secchezza cutanea tipica di questa patologia, sia un’aumentata permeabilità dell’epidermide agli agenti esterni (agenti infettivi, allergeni) in grado di favorire o innescare a livello cutaneo il processo infiammatorio responsabile del quadro istopatologico e clinico della dermatite atopica.
L’articolo passa in rassegna le attuali evidenze della letteratura circa la possibilità di rallentare o fermare, attraverso interventi di prevenzione primaria o secondaria, la progressione dell’allergia.
IgE totali: sono sempre inutili?
Giuseppe Pingitore Allergologo e pediatra Roma
La storia delle IgE inizia in Germania, nel 1921, quando Otto Prausnitz e Heinz Küstner descrivono un curioso fenomeno: l’iniezione sottocutanea di siero di un donatore allergico seguita dalla iniezione dello specifico antigene determina la comparsa di un pomfo e di eritema nella sede di inoculo. E’ la chiara dimostrazione dell’esistenza nel siero degli allergici di un fattore in grado di riconoscere l’antigene e di reagire verso di esso, cioè di una “reagina”. Una brillante intuizione seguita da decenni di buio. Infatti, solo 45 anni dopo Teruko e Kimishige Ishizaka, due immunologi giapponesi, moglie e marito, descrivono una nuova classe di immunoglobuline IgE e danno inizio alla moderna allergologia Leggi di più...
Valori normali di Ig E
I valori normali delle IgE dipendono dall’età. Nei soggetti non allergici i valori di IgE sono normalmente bassi ed esiste una significativa differenza del livello di IgE tra bambini atopici e non atopici. Una ricerca italiana condotta su 6370 soggetti allergici, oltre a confermare che il livello delle IgE totali varia in funzione dell’età, ha evidenziato differenti patterns di distribuzione tra i due sessi e una tendenza all’aumento con l’avanzare dell’età. Al contrario le IgE allergene specifiche diminuiscono man mano che l’età avanza. Esistono, poi, varie patologie non allergiche e alcune abitudini di vita che si possono accompagnare ad un aumento delle IgE totali. L’esistenza di una relazione tra i livelli di IgE totali e la prevalenza o il rischio di comparsa di patologie allergiche, in particolare asma e wheezing, è emersa chiaramente da alcuni importanti studi di coorte. Tuttavia, nella gestione del singolo paziente, la misurazione dei valori di IgE totali è di modesta utilità, come confermato dai documenti di consenso delle principali società scientifiche.
Quando le IgE possono essere utili
Missed allergens
La diagnosi di allergia a inalanti si basa su storia clinica, esame obiettivo e risultato dei test cutanei. Alcuni soggetti, tuttavia, pur avendo una storia clinica molto suggestiva di allergia, risultano negativi ai test allergici. Se i soggetti risultati negativi ai test allergologici iniziali hanno alti valori
di IgE totali – nello studio pubblicato il cut-off è pari a 116 kU/L (7) – è consigliabile “allargare” il pannello degli allergeni da testare in quanto potrebbe essere in gioco un allergene non testato (missed allergen); l’utilizzo di un pannello allargato consente di fare diagnosi nel 15% dei casi risultati inizialmente negativi al test.
Aspergillosi broncopolmonare
La presenza di alti valori di IgE sieriche rientra tra i criteri diagnostici maggiori dell’aspergillosi broncopolmonare. Nel corso del trattamento della malattia, una prolungata riduzione del livello sierico delle IgE rappresenta un indice di successo della terapia e un buon indice prognostico.
Immunoterapia allergene specifica (AIT) – Alcuni anni fa, Di Lorenzo e coll., studiando 279 pazienti adulti affetti da rinite allergica e/o asma, monosensibilizzati e in trattamento con AIT, sia sottocutanea che sublinguale, evidenziarono l’esistenza di una significativa correlazione tra il rapporto dei livelli sierici di IgE specifiche e quello delle IgE totali (s-IgE/t-IgE) e la risposta clinica all’AIT, nel senso che valori di s-IgE/t-IgE superiori a 16.2 si accompagnavano ad una miglior risposta clinica al trattamento immunoterapico. Tali osservazioni sono state confermate pochi anni dopo da un altro gruppo di ricerca su popolazione pediatrica.
Dermatite atopica (DA)
La misurazione dei livelli di IgE totali nei bambini affetti da DA può fornire utili indicazioni prognostiche sul decorso e sulla risposta al trattamento. Recentemente Kiiski e coll hanno valutato il valore predittivo delle IgE in 169 bambini affetti da DA a vari livelli di gravità e hanno evidenziato che una buona risposta alla terapia si otteneva nell’80% circa dei pazienti con livelli di IgE inferiori a 1000 ku/L, ma soltanto nel 14,3% di quelli che avevano valori di IgE superiori a 10000 kU/L.
Allergia alimentare
Le linee guida della EAACI sulla diagnosi e gestione dell’allergia alimentare mettono in guardia (evidenza di grado IV) sull’interpretazione del dosaggio delle IgE specifiche in soggetti con sospetta allergia alimentare e dermatite atopica in quanto, in presenza di valori elevati di IgE totali, potrebbe trattarsi di una sensibilizzazione asintomatica. Un altro aspetto riguarda la possibile influenza dei livelli di IgE totali sui risultati dei challenges, effettuati al fine di giungere ad una diagnosi di AA IgE mediata. Infatti, uno studio condotto in Giappone dimostra come i soggetti con i livelli di IgE totali più elevati, risultino significativamente meno responsivi al challenge effettuato con il bianco dell’uovo bollito e il latte crudo. Ma il tema che maggiormente interessa sia i clinici che i ricercatori è quello della individuazione di test che siano in grado di predire la reazione avversa all’alimento. Alcuni lavori hanno messo in evidenza che fare riferimento al rapporto s-IgE/t-IgE invece che al solo valore di IgE specifiche (s-IgE) garantisce una maggiore accuratezza nel predire l’esito del challenge (14, 15). Lo stesso dicasi per la valutazione dello sviluppo della tolleranza in bambini di età superiore ai 5 anni con allergia IgEmediata all’uovo: la performance diagnostica del rapporto s-IgE/t-IgE per ovalbumina è eccellente e, in ogni caso, superiore al dosaggio delle singole IgE specifiche per bianco d’uovo o per ovalbumina o per ovomucoide. Il motivo di questo fenomeno non è noto ma si ipotizza che valori più elevati di IgE totali possano contribuire ad innalzare il livello di IgE specifiche clinicamente non rilevanti. Prendendo spunto da tutte queste evidenze, alcuni ricercatori irlandesi hanno realizzato un software online (il Cork- outhampton food challenge out come calculator) che, partendo da 6 parametri in input (SPT, sIgE, tIgE meno sIgE, sintomi, sesso ed età), è in grado di predire l’esito del challenge per latte e derivati, uovo e arachidi; il software è stato validato su popolazioni pediatriche irlandesi e canadesi e, in base a quanto dicono gli autori, avrebbe un’accuratezza diagnostica del 96% .
Allergia al veleno di imenotteri
Occorre sottolineare alcuni aspetti peculiari.
Il primo riguarda l’affidabilità del dosaggiodelle IgE specifiche. L’analisi di 51 sieri di pazienti deceduti a causa di una reazione allergica fatale dovuta a puntura di imenottero ha evidenziato valori negativi (<0.22 ng/ mL) di IgE contro il veleno nel 10% dei casi e valori molto bassi, compresi tra 0.35 ng/mL e 1.1 ng/mL, nel 47% dei soggetti. Un altro aspetto riguarda l’influenza dei livelli di IgE totali sulla frequenza delle sensibilizzazioni asintomatiche.
Il terzo aspetto concerne l’influenza dei livelli di IgE totali sulla gravità delle reazioni da punture di imenotteri. Analogamente a quanto accade con le sensibilizzazioni asintomatiche, la gravità delle manifestazioni cliniche è inversamente proporzionale al livello di IgE totali. Pertanto, il dosaggio di tIgE può essere utile per interpretare correttamente il significato delle s-IgE, sia nel caso di livelli molto bassi che molto alti di s-IgE, in quanto si possono associare a positività multiple clinicamente non significative.
Allergia a antibiotici beta-lattamici
Nel sospetto di una reazione allergica da antibiotici beta-lattamici oggi abbiamo la possibilità di misurare le IgE specifiche verso alcune molecole: penicilline G e V, ampicillina, amoxicillina e cefacloro. La misurazione viene effettuata mediante CAP System, di cui esistono due versioni, una precedente (old test) e una più recente (new test). Il nuovo test ha evidenziato una maggiore sensibilità 85% vs. 44%) rispetto al vecchio test e una più bassa specificità (54% vs. 80%) ma la performance diagnostica, espressa in “diagnostic odd ratio” (DOR), è bassa (DOR 6.78 vs. 3.16, P = 0.333) per entrambi i test. All’analisi delle curve di sensibilità e specificità a differenti livelli di IgE totali, per entrambi i CAP test, si è notato che le IgE totali influenzano il DOR di tutti e due i test, ottenendosi risultati migliori per valori al di sotto di 200 kU/L per il nuovo test e di 500 kU/L per il vecchio. Pertanto, alla luce di queste osservazioni, appare obbligatorio conoscere i valori di t-IgE ed usare la combinazione di entrambi i test in vitro nell’approccio diagnostico alla allergia da beta-lattamici.
Bibliografia
antigens on in vitro allergy screening. Int Forum Allergy Rhinol. 2013; 3(10):782-7.
Clinical Response to Allergen-Specific Immunotherapy in Children Monosensitized to House Dust Mite? J Allergy (Cairo). 2012;2012:694094
Fonte: Not Allergol 2018; vol. 36: n. 2-3 : 107-110
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